Violenze indiscriminate da parte di gruppi terroristici, esecuzioni sommarie, stupri sistematici, nonché attacchi a istituzioni statali, tra cui scuole e strutture sanitarie, spingono le persone a fuggire, in una regione già alle prese con gli effetti dei cambiamenti climatici, la povertà estrema, la mancanza di opportunità economiche e scarsi servizi di base.
In questo contesto, la pandemia ha portato un’ulteriore pressione sui fragili sistemi sanitari.

 

Gli effetti della pandemia sull’istruzione.

Come sempre, i bambini sono tra le vittime principali dei conflitti. Si stima che in Sahel 5,3 milioni di bambini necessitino di aiuti umanitari. Molti tra loro non possono più andare a scuola. Se circa 4.000 scuole sono state distrutte dai terroristi, altre centinaia sono stata chiuse durante i periodi di lock-down. L’istruzione è stata quindi uno degli ambiti prioritari del nostro intervento. Abbiamo costruito nuove scuole, formato oltre 2.000 insegnanti, fornito strumenti per continuare a seguire le lezioni a distanza e condotto campagne di sensibilizzazione e informazione per spingere le famiglie a far tornare i bambini a scuola.

Burkina Faso: sette nuove classi, nuovi uffici amministrativi e servizi igienici sono stati costruiti nella municipalità di Dori.

Mali: abbiamo distribuito 1.300 radio alimentate ad energia solare e altrettanti kit scolastici alle scuole nelle regioni di Gao e Timbuktu, affinché gli studenti potessero seguire i corsi a distanza.

Niger: per facilitare il rientro a scuola a settembre, abbiamo costruito sette classi a Ayerou e Intikane e ristrutturato 21 classi a Telemces e Ouallam.

Mauritania: nel campo rifugiati di Mbera sono state organizzate delle lezioni di sostegno per integrare i corsi a distanza.

Ciad: abbiamo aiutato 516 ragazzi rifugiati a prepararsi per sostenere gli esami di maturità, organizzando i viaggi dai campi verso le sedi di esame e l’ospitalità degli studenti.

Intervento nel Sahel

L’integrazione sociale in Niger.

Paese povero ma ospitale, il Niger accoglie più di 200 mila rifugiati fuggiti dai paesi vicini. Fin dall’inizio della pandemia, abbiamo rafforzato in Niger gli interventi volti a favorire l’integrazione dei rifugiati nelle comunità locali, dove la paura del virus rischiava di esacerbare le tensioni sociali mentre le misure di contenimento privavano i più vulnerabili di qualunque mezzo di sostentamento.

Tra le iniziative più significative, l’avvio di piccole cooperative di produzione di prodotti per l’igiene e la protezione personale, con il coinvolgimento dei rifugiati. Circa 1.000 persone hanno potuto seguire dei corsi di formazione, avviando poi la produzione di sapone antisettico, candeggina, sapone liquido e mascherine di stoffa, materiali che sono stati distribuiti ai rifugiati e nelle comunità locali.

Sempre sul fronte della risposta alla pandemia, abbiamo sostenuto le autorità nigeriane nel rafforzamento del sistema sanitario, attraverso la formazione del personale, la fornitura di attrezzature e materiale medico, l’allestimento di spazi per l’isolamento dei contagiati (tra questi la struttura realizzata con l’impiego di Refugee Housing Units presso lo stadio di Niamey).