Vienna, capitale austriaca, ha arruolato persone del luogo e rifugiati per aiutare i nuovi arrivati ad integrarsi.
In un gelido sabato pomeriggio, la rifugiata siriana Widad Alghamian passeggia con due dei suoi figli, ormai adulti, nel centro di Vienna, girando per i negozi e immergendosi nell’atmosfera festosa. Ammira tappeti orientali in un negozio esclusivo prima di acquistare una lampada di Mozart in un tradizionale mercatino di Natale.
“Vienna mi ricorda Damasco”, dice Widad, insegnante di 41 anni originaria della capitale siriana. “I ciottoli della strada, i negozi di antiquariato.. Mi manca Damasco, certo, ma con la mia famiglia qui Vienna è diventata casa”.
Widad e migliaia di altri rifugiati si sono stabiliti a Vienna, a testimonianza delle politiche della città, che ha accolto i nuovi arrivati e ha lavorato per integrarli dal primo giorno.
“Abbiamo costruito una grande casa e ora non vediamo l’ora di inaugurarla”, afferma Jürgen Czernohorszky, Consigliere esecutivo per l’educazione, l’integrazione, la gioventù e le risorse umane.
Seduto nel suo moderno e luminoso ufficio nel Gothic Rathaus (municipio), risalente al XIX secolo, Czernohorszky riflette sulla crescita della città e su come Vienna non solo ha affrontato l’afflusso di rifugiati, ma l’ha trasformato in un’opportunità per celebrare il multiculturalismo.
La lunga tradizione di accoglienza di Vienna inizia nel dopoguerra. Czernohorszky ci mostra un grafico in cui si notano picchi di migrazione nel 1956, l’anno dell’insurrezione ungherese, nel 1968, l’anno della Primavera di Praga e negli anni ’90, quando iniziarono le guerre in Jugoslavia. L’ultimo picco rappresenta gli arrivi nel 2015. Oggi, Vienna, la cui popolazione è cresciuta in gran parte a causa di migrazioni interne al paese ed europee, ha oltre 1,8 milioni di cittadini.
“Negli anni ’70 e ’80”, dice, “la gente arrivava in veste di Gastarbeiter [“lavoratori ospiti”, molti dalla Turchia] e i politici, nella convinzione che sarebbero ritornati nel loro paese, non ritenevano che ci fosse bisogno di integrarli. Questo è stato un grande errore da cui abbiamo imparato, qui a Vienna”.
Con l’arrivo di migliaia di rifugiati in Austria nel 2015, il paese era tra quelli che in proporzione accoglievano il maggior numero di persone in fuga. “È stata una ‘grande sfida’”, afferma Czernohorszky. “Ma sono lieto di dire che il punto non è mai stato se accoglierli o meno, ma come accoglierli”.
Circa il 60% dei 25,4 milioni di rifugiati nel mondo vive non negli insediamenti ma in città e aree urbane in America, Europa, Medio Oriente, Africa e Asia.
Sindaci, autorità locali, imprese sociali e gruppi di cittadini sono in prima linea nella risposta globale ai rifugiati, promuovendo la coesione sociale e proteggendo e assistendo uomini, donne e bambini costretti alla fuga.
Vienna fa parte di una rete globale di comuni che scelgono di accogliere i rifugiati e le opportunità che essi offrono. Da San Paolo a Giacarta, queste Città di Luce stanno dando speranza ai più vulnerabili del mondo offrendo rifugio e la possibilità di entrare a far parte del tessuto sociale.
Il 18 e 19 dicembre, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Filippo Grandi ospiterà l’undicesimo evento di Dialogo dell’Alto Commissario (“High Commissioner’s Dialogue”) a Ginevra, che quest’anno si concentra sul ruolo delle città nella protezione delle persone costrette alla fuga in realtà urbane.
Vienna ha vari programmi municipali per sostenere i rifugiati ed è una delle 92 città in tutto il mondo che hanno aderito alla campagna Cities #WithRefugees dell’UNHCR per promuovere comunità ospitanti inclusive.
“Non stiamo solo parlando ma anche facendo”, afferma Czernohorszky. “In brevissimo tempo, ci siamo organizzati per soddisfare i bisogni di base delle persone in fuga: sistemazione, assistenza medica e soprattutto l’accesso all’istruzione. Solo l’anno scorso, 10.000 persone hanno potuto partecipare alle lezioni di lingua gratuitamente”.
Nonostante alcuni tagli recenti a livello nazionale, la città continua a sostenere i rifugiati attraverso il bilancio comunale e fondi dell’UE. Vienna inoltre supporta le ONG e i gruppi di rifugiati che si sostengono a vicenda. Un altro ingrediente per il successo è stata la mobilitazione dei residenti della città a prestare il loro sostegno.
“C’è stato un enorme impegno da parte della società civile”, afferma Czernohorszky. “Ad essere onesti, non saremmo riusciti a realizzare tutto questo senza i volontari. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno – i cuori aperti delle persone che vivono in città “.
Uno dei nuovi programmi di integrazione di Vienna è chiamato “Peer-Mentoring for Refugees”. Qui, i rifugiati già in qualche modo stabilitisi in città aiutano gli arrivi più recenti ad integrarsi. I mentori seguono un corso di educazione civica, dove imparano diritti e responsabilità nella società austriaca, prima di lavorare con altri.
In un centro sociale nel 15° distretto, Mohammad Akbar Amiri, 19 anni, di Ghazni, in Afghanistan, tiene una lezione di Taekwondo due sere alla settimana per i rifugiati, dopo aver partecipato ai corsi di formazione del CORE e ottenuto lo status di mentore.
“Il corso (civico) riguardava ciò che un rifugiato può fare in Europa, approfondimenti su diversi temi, come la differenza di genere, e così via”, dice Akbar. “Ora sono qualificato per insegnare. Per quanto riguarda il Taekwondo, ho esperienza perché lo faccio da quando avevo sette anni”.
“Studio tedesco tutto il giorno”, dice Mohammad Hashem Esaqzadeh, 21 anni, anche lui dell’Afghanistan, “quindi è bello fare qualcosa di fisico la sera. Per me, Taekwondo significa un’anima libera e un corpo sano”.
Il peer mentoring fa parte di un più ampio progetto di integrazione denominato CORE, che riunisce cinque istituzioni pubbliche della città di Vienna che si occupano di diversità, questioni sociali, istruzione, occupazione e affari. L’obiettivo dichiarato del CORE è “trasformare i rifugiati da beneficiari in partner”.
Nel centro del 15° distretto, il CORE offre stanze e assistenza ai rifugiati che hanno delle loro idee per le attività. Un gruppo di medici rifugiati, ad esempio, si incontra al CORE per studiare per riqualificarsi e continuare a praticare in Austria.
La portavoce del CORE Katja Horninger spiega perché molti rifugiati usano il centro anche per insegnare e imparare la loro prima lingua, insieme alle lezioni di tedesco, e perché il CORE li incoraggia.
“È risaputo”, dice, “che avere un buon livello nella tua prima lingua ti aiuta ad imparare una seconda lingua. E non vogliamo che i rifugiati dimentichino da dove vengono. Questo è ciò che rende la convivenza interessante”.
In una classe, Parham Lee-Sadrzadeh, iraniano cresciuto a Vienna, insegna il Farsi alle donne afghane che non sanno leggere e scrivere nella loro lingua.
“Insegnavo loro il tedesco”, dice, “e non stavano facendo progressi. Poi mi sono reso conto che il problema era che non sapevano leggere e scrivere in farsi”.
Seduta tra gli studenti afghani, anche un’entusiasta donna austriaca cerca di cogliere i rudimenti del farsi.
Nel frattempo, a Widad, che insegnava arabo e religione in una scuola di Damasco, il CORE ha offerto l’opportunità di tornare in classe e insegnare l’arabo ai bambini rifugiati.
Widad, suo marito e tre dei suoi figli sono arrivati in Austria dopo Obaida, il figlio più grande ora ventenne, che ha fatto il viaggio da solo. Widad ha detto che ha capito subito che non poteva stare a casa tutto il giorno e preferiva una vita attiva a Vienna.
“Mi è venuta l’idea di insegnare l’arabo ai bambini e ho chiesto una stanza”, dice. “Il CORE mi ha chiesto quanti iscritti avrei potuto avere: in un giorno ho ricevuto 40 risposte. Ora sto insegnando a quattro gruppi di 20 bambini ciascuno.
“È importante che i nostri giovani, che stanno imparando rapidamente il tedesco, conoscano anche la loro cultura. Se sono istruiti, saranno buoni membri della comunità austriaca”.
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