Per Catalina, cercare cure mediche in Nicaragua era troppo rischioso. In Costa Rica i costi erano insostenibili, fino a quando, insieme ad altri 6.000 rifugiati, ha ottenuto l’accesso al sistema sanitario pubblico.
Catalina* aveva terminato gli studi in giurisprudenza da molti anni quando il timore per l’incolumità della sua famiglia e la rabbia per ciò che stava accadendo nel suo paese natale, il Nicaragua, l’hanno convinta ad unirsi agli studenti che protestavano in un campus universitario, nel contesto delle manifestazioni antigovernative del 2018.
Una notte, un ordigno esplosivo artigianale lanciato attraverso una finestra le è esploso sul piede destro.
Sebbene un intervento chirurgico le abbia salvato il piede, le gravi ferite riportate nell’esplosione richiedevano cure estensive. Catalina usava spesso dei travestimenti per andare agli appuntamenti con i medici, temendo di essere sequestrata lungo il percorso. Alla fine, la paura di essere detenuta per il suo ruolo nelle proteste l’ha portata a fuggire in Costa Rica, dove ha fatto domanda di asilo.
Lì le sue ferite si sono infettate, ma non potendo permettersi un medico è rimasta senza cure per diversi mesi, correndo il rischio di rimanere invalida per sempre. Poi ha sentito parlare di un’iniziativa dell’UNHCR, l’Agenzia ONU per Rifugiati, che permetteva a 6.000 rifugiati e richiedenti asilo l’accesso al sistema sanitario pubblico della Costa Rica.
“Quando ho sentito parlare dell’assicurazione medica fornita dall’UNHCR, è stato come una benedizione”, ha detto Catalina, avvocato di 44 anni e madre di due figli.
Inizialmente guidata da studenti e anziani, l’ondata di manifestazioni del 2018 in Nicaragua ha rapidamente raccolto il sostegno di professionisti come Catalina, inclusi insegnanti, medici, giornalisti, così come degli agricoltori. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani stima che più di 300 manifestanti siano stati uccisi durante le proteste.
Catalina si è sentita in dovere di unirsi alla protesta e ha deciso di far diventare la sua casa un centro di soccorso improvvisato, dove, insieme ad altri, ha offerto cibo e vestiti ai manifestanti e fornito aiuti di primo soccorso. Ma il suo atto di solidarietà l’ha presto trasformata in un bersaglio.
Per sfuggire a possibili attacchi ed evitare di mettere in pericolo le sue due figlie adolescenti, Catalina si è trasferita insieme ai manifestanti nel campus di un’università vicina.
Una notte, mentre lei e altri manifestanti dormivano in un’aula, è stata svegliata da un forte rumore. E’ andata alla finestra per vedere cosa fosse successo, quando un ordigno esplosivo rudimentale l’ha raggiunta e le è esploso addosso, distruggendole metà del piede.
“Stavo sanguinando e mi hanno portato… in ospedale”, ha detto. “A un isolato di distanza ho cominciato a sentire freddo e ho pensato che sarei morta. Uno dei giovani continuava a dirmi di stare lontano dalla luce. Ho pensato solo alle mie figlie.”
In ospedale, è stata sottoposta ad un intervento chirurgico ed è stata rapidamente dimessa perché il personale medico temeva che potesse essere rintracciata da coloro che avevano condotto l’attacco. Tuttavia, le sue ferite richiedevano un trattamento continuo, quindi per diversi mesi si è tinta i capelli o ha indossato cappelli nel tentativo di non essere identificata e incarcerata.
Ma Catalina sospettava che i gruppi paramilitari stessero per rintracciarla. Sentiva che la sua unica possibilità di sopravvivere era fuggire dal Nicaragua. Così ha preso alcuni effetti personali e, nonostante le ferite non ancora cicatrizzate, è riuscita ad attraversare il confine terrestre a sud della nazione centroamericana verso la Costa Rica, da sola.
È una degli oltre 100.000 nicaraguensi che si stima siano fuggiti dalle persecuzioni e dalle violazioni dei diritti umani a seguito dei movimenti di protesta. Come lei, più di 86.000 hanno cercato protezione in Costa Rica.
Pur essendo riuscita a sfuggire al pericolo, Catalina stava ancora lottando con le sue ferite. Senza un lavoro, non poteva permettersi cure mediche in Costa Rica. E come rifugiata, senza assicurazione medica, non poteva accedere al sistema sanitario pubblico del Paese.
Grazie ad un accordo firmato tra il Sistema di Sicurezza Sociale del Costa Rica e l’UNHCR la situazione per Catalina e migliaia di altre persone è cambiata. L’accordo ha esteso la copertura del sistema sanitario pubblico del Paese a 6.000 rifugiati e richiedenti asilo estremamente vulnerabili.
María José Barth Vega, responsabile della sanità pubblica dell’UNHCR in Costa Rica, ha sottolineato che le persone costrette a fuggire dai loro Paesi spesso tendono a soffrire di disturbi cronici che richiedono cure a lungo termine, aggiungendo che lo stress di lasciare la propria casa a volte peggiora le loro condizioni.
“Molti rifugiati e richiedenti asilo subiscono ferite e traumi che richiedono cure mediche urgenti. L’accesso efficace ai servizi sanitari è necessario per ricostruire la propria vita con dignità”, ha spiegato.
L’iniziativa ha assunto un’importanza ancora maggiore nel contesto della pandemia di COVID-19, che ha colpito le Americhe con particolare intensità. Di conseguenza, l’UNHCR ha ottimizzato il programma per rivolgersi anche a rifugiati e richiedenti asilo che affrontano rischi maggiori a causa del coronavirus, come gli anziani.
Grazie al programma, Catalina ha potuto riprendere i trattamenti. Le sue ferite fisiche sono guarite, così anche le cicatrici emotive.
Catalina è ora tornata a fare ciò che le piace di più: aiutare gli altri. Lavorando con un’organizzazione religiosa e altri nicaraguensi in Costa Rica, ha contribuito ad organizzare iniziative per fornire aiuto ai senzatetto e ad altre persone vulnerabili nel suo paese ospitante.
“Aiutare gli altri aiuta me stessa”, ha detto.
*Nome cambiato per motivi di protezione.
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