Gli effetti devastanti del conflitto in Ucraina continuano a colpire i rifugiati e gli sfollati all’interno del Paese, ma non tutte le ferite sono visibili.
Tra loro c’era Inna Chapko, psicologa ucraina che ha lasciato la sua casa nella capitale, Kiev, poche settimane dopo l’inizio della guerra a febbraio. “Partire è stata una delle decisioni più difficili che abbia mai preso”, ha detto.
Durante le lunghe ore di viaggio in vagoni affollati, Inna ha messo a frutto le sue capacità professionali. Ha improvvisato un gioco basato su tecniche antistress che ha aiutato a calmare i bambini stanchi, affamati e spaventati. Li ha riuniti e ha mostrato loro come incrociare le braccia e stringere le spalle, quindi respirare profondamente dal naso battendo ritmicamente le mani. Man mano che i bambini si calmavano, anche i genitori si univano a loro e ben presto l’unico rumore che si sentiva era il rombo del treno sui binari.
Una volta al sicuro a Varsavia, Inna ha deciso di utilizzare la sua esperienza per aiutare i connazionali che, come lei, hanno subito il trauma e le difficoltà della fuga. Oggi lavora in uno dei sei Blue Dot della Polonia, spazi sicuri per i rifugiati istituiti dall’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, e dall’UNICEF, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia. I centri offrono servizi di salute mentale, oltre a supporto sociale, assistenza legale, supporto amministrativo, assistenza specialistica e aree per il gioco e il relax dei bambini.
“Quasi un rifugiato su 10 di quelli che si rivolgono ai Blue Dot ha domande sulla salute mentale e sui servizi psicosociali”, ha dichiarato Inna, che gestisce sessioni settimanali per alleviare lo stress ed esercizi di radicamento per le donne, oltre a sessioni di consulenza individuale e gruppi di arteterapia.
Nel Blue Dot dove lavora ha incontrato Natasha*, che a marzo è fuggita dalla città di Irpin, alle porte di Kiev, dicendo ai suoi figli: “Due settimane e torneremo!”, mentre chiudeva frettolosamente la porta del loro appartamento prima di fuggire tra i bombardamenti.
Da allora la 34enne vive in Polonia, in attesa di poter tornare a casa in condizioni di sicurezza. Natasha non aveva mai lasciato l’Ucraina prima d’ora, né aveva mai viaggiato senza il marito, e con il passare dei mesi i costi, le sfide e le responsabilità di crescere due figli piccoli da sola in un Paese straniero hanno pesato ogni giorno di più.
Poco dopo essersi stabilita in Polonia, Natasha ha saputo della morte di sua zia in Ucraina e la notizia l’ha spinta sull’orlo del baratro, scatenando sentimenti di dolore e ansia incontenibili: “Era come una seconda madre per me”, ha detto Natasha, così ha cercato aiuto presso un Blue Dot.
Lì, Inna ha ascoltato la storia di Natasha e l’ha aiutata a gestire lo stress e le emozioni prima di guidarla attraverso i diversi servizi disponibili, oltre a spiegarle come accedere a quelli forniti dal sistema sanitario polacco.
“Nessuno è preparato a queste esperienze”, ha detto Inna a proposito dei traumi subiti dagli ucraini negli ultimi otto mesi, “ma la maggior parte dei rifugiati che vivono eventi stressanti non pensa a chiedere aiuto. Continuano a vivere con la “mentalità di sopravvivenza” che hanno sviluppato durante i periodi di crisi, e le loro ferite non fanno che approfondirsi”.
Ha continuato: “C’è un tempo per essere forti e coraggiosi e un tempo per calmarsi, rilassarsi e accettare la necessità di elaborare i pensieri, le emozioni e i ricordi negativi in qualcosa di neutro o addirittura positivo. Parlare – ed essere ascoltati – è un primo passo fondamentale”.
La Polonia, a differenza di molti altri Paesi che ospitano rifugiati in tutto il mondo, ha un sistema sanitario ben consolidato, anche se le persone con problemi di salute mentale a volte incontrano difficoltà nel rivolgersi agli specialisti. Il ruolo dei Blue Dot è fondamentale, soprattutto come primo punto di riferimento per i rifugiati in difficoltà, aiutandoli ad accedere ai servizi pubblici.
L’UNHCR sta inoltre collaborando con altre organizzazioni e professionisti nazionali della salute mentale per fornire formazione e orientamento su gruppi specifici di rifugiati, tra cui i sopravvissuti alla violenza, le donne e le ragazze a rischio e i bambini non accompagnati o separati.
Natasha ha detto che questa era la prima volta che parlava con un esperto di salute mentale e che Inna le ha fornito un’ancora di salvezza vitale mentre cercava di orientarsi in un nuovo Paese. “I nostri pensieri sono rivolti all’Ucraina”, ha detto, “ma dobbiamo sfruttare al meglio il nostro soggiorno qui in Polonia, per sostenerci”.
Da marzo, oltre 36.400 rifugiati ucraini hanno ricevuto assistenza nei sei Blue Dot in Polonia, ma Inna ha detto che i professionisti della salute mentale come lei possono fare ancora di più, anche sforzandosi di essere più proattivi per raggiungere più persone in difficoltà.
“Nei Blue Dot, spesso dobbiamo fare noi il primo passo e andare incontro ai rifugiati che potrebbero aver bisogno di sostegno, invece di aspettare che siano loro a rivolgersi a noi per primi”.
*Nome cambiato per motivi di protezione
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