Con la sospensione dei voli, il reinsediamento di una famiglia siriana è stato messo in attesa, ma Wafaa spera che una volta superata la crisi possano lasciare il Libano e che suo figlio adolescente possa smettere di lavorare.
Dopo essere sopravvissuti alla paura e alla fame per quattordici mesi durante l’assedio di Ghouta Est, vicino Damasco, Wafaa Hashim e la sua famiglia sono stati grati di poter fuggire portando con sè solo le loro vite e di arrivare in Libano sani e salvi come rifugiati nel 2014.
“Quando siamo arrivati in Libano, è stato come se fossimo passati dall’inferno al paradiso”, ha detto Wafaa, 32 anni, ricordando il giorno in cui la famiglia ha finalmente attraversato il confine.
Ma dopo più di cinque anni di povertà sempre più profonda e di una situazione in costante peggioramento in Libano, la famiglia si sente di nuovo in trappola e in preda alla disperazione.
Con il marito di Wafaa, Mohammad, che fatica a trovare un lavoro regolare a causa di un infortunio subito durante l’assedio, i due sono ora costretti a dipendere dal reddito del figlio tredicenne Bakr, che lavora in un supermercato locale consegnando merci ai clienti.
“Quando vedo mio figlio lavorare invece di studiare, mi sento così triste”, ha detto Wafaa. “Guardo i suoi amici che hanno imparato a leggere e scrivere, ma lui non ci riesce. Spesso torna esausto dal lavoro e mi chiede: “Quando finirà tutto questo?”
“Il suo stato d’animo non è al meglio”, ha aggiunto Wafaa. “Non esce a giocare e ha pochissimi amici. Passa troppo tempo da solo. Mi sento così triste per lui, sento che è a pezzi perché non sa né leggere né scrivere. È davvero difficile per un bambino”.
La famiglia vive in un appartamento scarsamente ammobiliato nel governatorato del Monte Libano, fuori dalla capitale Beirut. I guadagni di Bakr coprono a malapena l’affitto mensile, il che significa che la famiglia spesso deve fare a meno di altre necessità.
Recentemente la famiglia ha dovuto fare a meno dell’elettricità per quattro mesi, non potendosi permettere il carburante per far funzionare il generatore.
Una sera, mentre metteva a dormire i suoi figli più piccoli, Wafaa cercava di rassicurarli che le cose sarebbero migliorate. “Eravamo sotto pressione, dovevamo pagare l’affitto e non potevamo. Scherzavo con le mie figlie, dicendo loro di andare a dormire presto, perché il giorno dopo avevamo un colloquio con l’UNHCR per poter andare all’estero”.
Con sua grande sorpresa, la storia di Wafaa si è avverata il giorno dopo quando l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha chiamato suo marito per comunicare che la famiglia avrebbe avuto un colloquio per il reinsediamento in Norvegia. “Ero completamente scioccata; non gli ho creduto. Ho ringraziato Dio perchè finalmente potevamo portare via i nostri figli”.
Dopo un colloquio con la missione di selezione norvegese alla fine dell’anno scorso – che si è svolto in videoconferenza dopo che la delegazione non ha potuto recarsi in Libano a causa delle proteste del paese in quel momento – la famiglia è stata accettata e ha programmato di partire in aereo il 23 marzo 2020.
Ma le misure introdotte a metà marzo per impedire la diffusione del COVID-19 hanno fatto sì che i voli della famiglia venissero cancellati e che il loro reinsediamento venisse sospeso.
“Essere poveri è difficile, essere vulnerabili è difficile. Le nostre speranze erano riposte in questo viaggio, ma non ha funzionato”, ha detto Wafaa.
Con molti paesi in tutto il mondo che hanno chiuso i loro confini in risposta alla pandemia, e con la diffusa interruzione del traffico aereo internazionale, a metà marzo l’UNHCR e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) hanno annunciato che la maggior parte delle partenze per il reinsediamento dei rifugiati sarebbe stata messa in attesa, ad eccezione dei casi di emergenza.
Ma con l’inizio della rimozione delle restrizioni in alcuni Paesi, la settimana scorsa l’UNHCR e l’OIM hanno annunciato la ripresa delle operazioni di reinsediamento non appena la situazione in ogni Paese lo consentirà. La riapertura parziale dell’aeroporto di Beirut è prevista per i primi di luglio.
Mentre meno dell’1% dei rifugiati nel mondo ha la possibilità di essere reinsediato, trovare una nuova casa in un paese terzo rimane un’opzione vitale e spesso salvavita per alcuni degli individui più vulnerabili sotto il mandato dell’UNHCR.
La famiglia spera ancora di potersi recare in Norvegia quando gli aeroporti riapriranno e riprenderanno i voli commerciali.
“Abbiamo sentito dire che la Norvegia è sviluppata ed è bella”, ha detto Wafaa. “Che hanno rispetto per le altre persone, e che rispettano la libertà di parola. Speriamo ancora di poter partire”.
Wafaa sogna che tutti i suoi figli possando ricevere un’istruzione e spera di andare a scuola lei stessa per studiare psicologia. Spera che anche il marito possa ricevere le cure necessarie per superare il suo infortunio.
La famiglia riconosce che il rinvio del loro tanto atteso viaggio è dovuto a circostanze al di fuori del loro controllo, e rimane la speranza che la loro attuale situazione non duri tanto a lungo quanto i precedenti periodi difficili della loro vita.
“Abbiamo riposto così tante speranze nel viaggio”, ha detto Wafaa. “Siamo ancora sicuri che ci arriveremo una volta che questa pandemia sarà finita e gli aeroporti riapriranno. Vogliamo dimenticare il nostro passato, abbiamo un po’ di speranza con questa opportunità. Come si dice, dopo la tempesta arriva il sereno”.
Condividi su Facebook Condividi su Twitter