Da decenni Mayerlín Vergara Pérez si adopera per aiutare centinaia di giovani sopravvissuti alla violenza sessuale, molti dei quali rifugiati, affinché possano rifarsi una vita.
Mayerlín Vergara Pérez dorme con il telefono appoggiato sul cuscino.
È la direttrice di una struttura che ospita decine di bambini e adolescenti sopravvissuti alla violenza e allo sfruttamento sessuale a Riohacha, al confine orientale della Colombia con il Venezuela, e non sa mai quando potrebbe essere chiamata per risolvere un problema.
Salvati dagli angoli delle strade, dai bordelli e dai bar dove sono costretti a prostituirsi, e a volte sottratti a reti di trafficanti, o a famiglie che abusano di loro, i bambini assistiti da Mayerlín hanno subito traumi difficile da concepire. Il loro percorso di recupero è lungo e difficile.
“La violenza sessuale ha praticamente distrutto la loro capacità di sognare. Ha rubato i loro sorrisi e li ha riempiti di dolore, angoscia e ansia” afferma Mayerlín, una vivace 45enne che si fa chiamare Maye. “Il dolore è così profondo e il vuoto emotivo così enorme che semplicemente non hanno più voglia di vivere”.
Negli ultimi 21 anni, Maye si dedica ad aiutare i bambini a superare quel dolore e a liberarsi dal giogo della violenza sessuale.
Durante la sua carriera, che considera una vocazione, ha assistito centinaia dei circa 22.000 bambini e adolescenti che si rivolgono all’organizzazione per cui lavora sin da quando è stata fondata, circa 32 anni fa: l’ONG colombiana Fundación Renacer.
Cristiana devota, Maye ha risposto a innumerevoli chiamate notturne, ha ascoltato migliaia di storie di assoluta miseria, ha risolto innumerevoli crisi e intrapreso decine di missioni ad alto rischio per perlustrare le zone calde dello sfruttamento sessuale e della prostituzione. Da anni ormai si dedica a questo lavoro instancabilmente, saltando vacanze e altri importanti eventi con la famiglia e rinunciando persino alla certezza di una notte di sonno completo.
Recentemente, si è offerta volontaria per gestire l’apertura di una nuova struttura residenziale a La Guajira, una regione di confine nella parte nord-orientale della Colombia, dove si è registrato un forte incremento di bambini vittime di sfruttamento sessuale tra rifugiati e migranti in fuga dalla crisi politica ed economica del vicino Venezuela. Nel corso del suo primo anno, la struttura ha fornito uno spazio terapeutico sicuro a 75 bambini e adolescenti, alcuni di appena 7 anni.
È per il suo impegno a favore di una popolazione altamente vulnerabile che Maye ha vinto il Premio Nansen per i Rifugiati 2020, prestigioso riconoscimento annuale che onora lo straordinario impegno di persone al servizio di rifugiati, sfollati interni e apolidi.
“È la loro stella polare” afferma Tashana Ntuli, funzionario associato per la protezione dell’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, a Riohacha. “Maye difende quei bambini e i loro diritti con le unghie e con i denti”.
Maye ha iniziato a lavorare con i minori vittime di violenza sessuale quasi per caso, dopo aver risposto a un annuncio per “educatrice notturna” in una struttura residenziale a Barranquilla gestita dalla Fundación Renacer, un’organizzazione no profit fondata a Bogotá nel 1988 dalla psicologa Luz Stella Cárdenas. Sulla carta, l’allora ventitreenne Maye non era qualificata per la posizione. Era la minore di quattro figli di una famiglia di agricoltori della costa caraibica della Colombia, aveva conseguito il diploma di insegnante, ma non aveva ancora iniziato l‘università.
Il colloquio di lavoro, però, è andato bene e a Maye è stato detto di presentarsi la sera seguente per il suo primo turno notturno con le decine di bambini e adolescenti ospiti nella struttura di Barranquilla. All’epoca non lo sapeva, ma era stata assunta per sostituire un amatissimo membro dello staff, e i bambini non erano particolarmente entusiasti del cambiamento.
“Uno di loro mi ha detto che non sarei stata in grado di gestire la casa, e un altro che non avrebbe mai parlato con me, o qualcosa del genere – in pratica, erano reazioni dure per farmi scappare e non tornare più” si confida Maye. Ma l’accoglienza gelida ricevuta dai ragazzi ha avuto l’effetto opposto. “Penso che vedere il dolore oltre l’aggressività delle loro parole, vedere il loro animo e tutta quella sofferenza mi ha permesso di entrare in contatto con loro e mi ha spinto a voler far parte del loro percorso di riabilitazione”.
Nei successivi sette anni, sostanzialmente per tutti i suoi vent’anni, Maya ha coperto i turni di notte nella casa. Presto è diventata un punto di riferimento della fondazione, un membro dello staff tra i più amati: grazie alla sua empatia, pazienza e capacità di ascolto riusciva a creare un legame speciale con i bambini e gli adolescenti.
“La consideravo come una madre adottiva… perché era sempre presente quando avevi bisogno di lei” afferma Jessica*, imprenditrice di 30 anni e madre di due figli che dai 13 ai 16 anni ha vissuto nella sede di Barranquilla dopo che sua madre, ormai allontanata da tempo, l’aveva costretta a prostituirsi. “Ci ascoltava davvero e ci trattava in un modo del tutto speciale”.
La sede di Riohacha è nata dopo una missione di ricognizione condotta nel 2018 per due mesi nella regione al confine con il Venezuela, durante la quale il team ha individuato centinaia di bambini vittime di sfruttamento sessuale. Almeno la metà erano rifugiati e migranti provenienti dal Venezuela; alcuni di loro erano arrivati insieme alla famiglia, altri erano soli e altri ancora erano caduti nelle mani di reti criminali.
“Era una situazione assolutamente angosciante”, ricorda Maye. “Molte delle ragazze ci hanno detto che vivere per strada in estrema povertà le ha indotte a prostituirsi”.
L’unica soluzione, ha concluso il team, era aprire una nuova sede nella regione.
“Ricordo che il mio capo disse che aprire una sede richiedeva uno sforzo del 200%. È logorante in tutti i sensi: a livello fisico, emotivo ed economico” prosegue Maye. “Poi ha chiesto: ‘Chi vuole guidare il progetto?’ E io ho alzato la mano”.
Sono circa 5 milioni i venezuelani che, negli ultimi anni, sono fuggiti dal Paese per sottrarsi alla carenza di cibo e medicinali, alla crescente inflazione e a un clima di insicurezza diffusa. Si stima che 1,8 milioni di loro abbiano cercato protezione nella vicina Colombia.
Attualmente, la nuova sede della fondazione ospita circa 40 bambini; l’ampia struttura a due piani comprende quattro dormitori e un cortile interno dove svettano due imponenti alberi di mango. Circa l’80% degli ospiti sono ragazze, molte delle quali indigene Wayúu e Yukpa, le cui comunità si estendono attraverso il confine tra Colombia e Venezuela.
Un rigoroso programma giornaliero con sessioni di terapia individuale e di gruppo e attività educative fornisce ai bambini ordine e struttura, ma anche lo spazio e il tempo di cui hanno bisogno per elaborare il trauma vissuto. Un team di oltre una dozzina di professionisti, tra cui insegnanti, uno psicologo, un assistente sociale, un nutrizionista e un avvocato, sono a disposizione per aiutarli a ricostruirsi una vita, un processo che generalmente dura circa un anno e mezzo. Quando sono in grado di farlo, poi, i bambini riprendono gli studi e nel corso degli anni molti sono diventati professionisti di successo.
“Abbiamo tante storie a lieto fine” dichiara Maye, raggiante. “Abbiamo chef, designer, infermieri, medici e ragionieri”.
José de los Santos, funzionario dell’Istituto colombiano per il benessere della famiglia a La Guajira che si occupa di trasferire nelle strutture della fondazione i bambini costretti dalla famiglia a prostituirsi, afferma che ne escono trasformati.
“Quando lasciano le strutture di Fundación Renacer non sono gli stessi di quando sono entrati” spiega. “Hanno un nuovo scopo nella vita, sono pieni di ambizione, speranza e amore. È un vero cambiamento”.
Il Premio Nansen sarà consegnato dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nel corso di una cerimonia virtuale il 5 ottobre.
“Per me, il premio rappresenta un’opportunità per le ragazze e i ragazzi” dichiara Maye, aggiungendo che spera che dimostri che “è possibile per le vittime di violenza sessuale cambiare la propria vita e intraprendere progetti costruttivi per loro, per le loro famiglie e per la società. È possibile”.
“Mi sento molto onorata di aver avuto un ruolo nelle loro vite” afferma. “Sono i veri eroi delle loro storie. Ci insegnano tanto e ci ispirano a continuare a fare questo lavoro”.
Il Premio Nansen per i Rifugiati prende il nome da Fridtjof Nansen, esploratore e umanitario norvegese, nominato primo Alto Commissario per i Rifugiati dalla Società delle Nazioni nel 1921 e vincitore del Premio Nobel. Il Premio si propone di ricordare i valori di perseveranza e tenacia di fronte alle avversità da lui incarnati.
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