Una campagna della Repubblica del Congo e dell’UNHCR fornisce certificati di nascita a migliaia di congolesi a rischio di apolidia, comprese le comunità indigene.
“Mi piacerebbe andare a cercare un lavoro a Djambala, come cameriera per esempio, e poter mantenere meglio la mia famiglia. Ma bisogna avere dei documenti per essere assunti”, dice con voce sconfitta. Come Marie, la maggior parte dei cacciatori-raccoglitori indigeni del villaggio non hanno certificati di nascita – la prima prova legale della propria esistenza.
Per Marie, ogni giorno è una questione di sopravvivenza. Lei e Damas camminano per chilometri per cercare foglie di manioca nella foresta, così come asparagi, funghi e canna da zucchero. Con il poco che riescono a vendere, a volte comprano un po’ di carne, olio e sale per i bambini. Ma altre volte la famiglia soffre la fame.
“Siamo in una situazione molto, molto vulnerabile. Sto lottando ogni giorno per trovare cibo per la famiglia. Ogni singolo giorno. Ma i miei figli mi danno l’energia per lottare per loro”, dice con voce tremante. Marie non può iscrivere i suoi figli a scuola perché non hanno i certificati di nascita richiesti in Congo e in molti altri paesi africani per iscriversi. Invece, vanno nella foresta con lei per cercare cibo e legna da ardere.
“Camminano a piedi nudi. Andavano così anche nella scuola che hanno frequentato per tre giorni, prima di essere cacciati per mancanza di documenti di identità”, dice.
Una volta tornata a casa, Marie completa il suo giro giornaliero di faccende che includono anche cucinare e pulire la casa. “È semplicemente troppo. Sto raggiungendo il mio limite”, sussurra. La povertà ha conseguenze anche per Damas, che non è in grado di aiutare sua moglie quanto vorrebbe a causa della sua cattiva salute. “Non abbiamo abbastanza cibo, non abbiamo soldi per comprare vestiti. Non c’è niente”, dice.
La comunità indigena ha vissuto a lungo ai margini della società. Affrontano la denigrazione a causa della loro piccola statura e del loro modo di vivere tradizionale, nonostante una legge nazionale adottata nel febbraio 2011 che promuove e protegge i diritti degli indigeni – compreso il diritto alla cittadinanza e il diritto ai documenti di stato civile. Anche la loro profonda conoscenza delle piante medicinali e degli alberi sacri della savana e della foresta è spesso ignorata.
“Per alcuni Bantu del Congo – il principale gruppo etnico – gli indigeni sono stati e sono ancora considerati meno che umani. Sono stati usati come servi e messi a lavorare nei campi, tra gli altri compiti”, dice Cyr Maixent Tiba, consigliere per i diritti umani e la promozione dei popoli indigeni al Ministero della Giustizia di Brazzaville. E’ anche il punto focale del Ministero sull’Apolidia, ed è lui stesso Bantu.
“Essere costantemente messi in disparte ha instillato un complesso d’inferiorità tra gli indigeni del Congo e un ripiegamento su se stessi”.
L’emarginazione, unita all’isolamento delle loro comunità, che sono lontane dalle istituzioni e dai servizi del governo, rende più difficile per loro registrare i figli alla nascita, e impegnarsi nel lungo processo per ottenere i documenti di identità.
Inoltre, alcune donne indigene dicono che è stato chiesto loro di pagare delle tasse nei reparti di maternità per registrare i figli appena nati – un servizio che è, per legge, gratuito. Anche alcuni capi villaggio chiedono denaro per aggiungere i nomi delle persone indigene alla lista degli aventi diritto a richiedere i certificati di nascita. Troppo poveri per pagare, molti rinunciano a registrare i loro figli.
Le comunità indigene del Congo non sono sole nella loro situazione. In tutto il mondo, milioni di persone non possono dimostrare la loro cittadinanza, e si trovano escluse dall’istruzione, dai servizi medici e dal lavoro formale, e non possono muoversi liberamente. Attraverso la sua campagna #IBelong per porre fine all’apolidia, l’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, sta cercando di garantire che abbiano una documentazione entro il 2024.
In Congo, un censimento dello stato civile tre anni fa ha portato all’identificazione di circa 199.400 persone – tra cui almeno 25.000 indigeni – senza certificato di nascita, su una popolazione totale di quasi 5,8 milioni. Agendo su questi dati, il governo ha lanciato una vasta operazione in tutto il paese nel 2020, con il sostegno dell’UNHCR, per emettere certificati di nascita.
Sono state tenute udienze per registrare le persone e consegnare i documenti. A settembre 2021, erano stati rilasciati 30.000 certificati di nascita, di cui 5.000 a persone indigene. “L’obiettivo è fare in modo che ogni congolese abbia un certificato di nascita. E gli indigeni sono congolesi”, sottolinea Justin Assomoyi, direttore per la promozione dei diritti degli indigeni al ministero della Giustizia.
Per gli indigeni, ricevere certificati di nascita e documenti d’identità è un passaporto per una nuova vita. “Bisogna avere la documentazione d’identità per sfuggire all’apolidia che oggi è considerata una grave violazione dei diritti umani”, dice Geodefroid Quentin Banga, esperto di apolidia dell’UNHCR a Brazzaville. “Ma oltre alla documentazione, bisogna considerare anche l’aspetto socio-economico”.
Il ventiquattrenne Mawaki Ngandibi non potrebbe essere più felice dopo che la sua famiglia ha beneficiato dell’iniziativa. A settembre, lui e sua moglie Nadine hanno ricevuto un certificato di nascita per il figlio Doudé di 18 mesi, durante una cerimonia ufficiale a Djambala. “Sono felice per il certificato di nascita di mio figlio perché quando crescerà, lo manderò a scuola”, dice.
Marie e Damas si sono registrati qualche tempo fa per ricevere i documenti. Sperano di ottenere presto documenti d’identità in modo che anche loro possano superare una vita di esclusione e dare un futuro ai loro figli.
“La mia vita è rotta, sprecata”, dice Damas. “Vorrei poter ottenere i certificati di nascita dei miei figli in modo che possano essere ammessi a scuola. Tutte le mie speranze sono sui miei figli”.
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