Un volo di evacuazione porta 66 rifugiati vulnerabili in Ruanda, dove avranno a disposizione alloggio, cure mediche e opzioni per un futuro sicuro.
Una serata mite di giovedi, all’aeroporto di Kigali una giovane donna somala culla la sua bambina di due mesi. Si avvia con cautela giù per la scaletta che porta dall’aereo all’asfalto della pista.
Come la famiglia di quattro persone che cammina davanti e il gruppo di circa 10 ragazzi sudanesi dietro di lei, Zainab si dirige verso il terminal in silenzio. Esausti per il viaggio, si scambiano solo sguardi e sorrisi cauti.
C’è un’energia tesa nell’aria, in parte sollievo, in parte scetticismo all’idea di aver finalmente raggiunto un luogo sicuro. Solo dopo aver passato tutti i controlli ed essersi seduti sull’autobus che li aspettava fuori dall’aeroporto cominciano a rilassarsi.
“Sono molto felice”, dice Zainab. “Sognavamo di uscire dalla Libia e ora possiamo finalmente vivere in pace”.
Zainab, il compagno Abdulbasit, e la loro bambina fanno parte di un gruppo di rifugiati estremamente vulnerabili che comprende 22 bambini separati dai genitori e da altri membri delle loro famiglie evacuati tramite un volo charter dalla Libia in Ruanda.
Molti di loro hanno subito violazioni di diritti umani, fra cui pestaggi, estorsioni e stupri durante il periodo trascorso nei centri di detenzione. Altri hanno rischiato di essere venduti come schiavi dai trafficanti e perfino di morire nei disperati tentativi di attraversare il Mediterraneo o restando coinvolti nel susseguirsi dei combattimenti.
Il gruppo è il primo a beneficiare del Meccanismo di transito di emergenza annunciato di recente. L’accordo fra il Governo del Ruanda, l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e l’Unione Africana mira a trasferire i rifugiati dalle situazioni maggiormente a rischio in Libia alle condizioni sicure del centro di transito di Gashora, un distretto a circa 60 km da Kigali.
Una volta raggiunto il centro di transito, nella tarda notte di giovedi, si sono riuniti nella sala da pranzo dove hanno ricevuto il benvenuto dal Sindaco del distretto, Richard Mutabazi, il cui cognome letteralmente significa “salvatore” in Kinyarwanda, la lingua nazionale.
“Do a tutti voi il nostro benvenuto”, ha affermato Mutabazi. “Vi prego di considerare questo luogo come la vostra casa lontano dal vostro Paese. Ora abbracciamoci tutti”.
Nonostante la riluttanza iniziale, l’insistenza contagiosa di Richard nell’abbracciare uno a uno ciascun rifugiato presto ha portato tutto il gruppo a lasciarsi andare in sorrisi e a scambiarsi abbracci. Dopo un pasto caldo, la sala si è riempita del mormorio di persone intente a conoscere i loro nuovi vicini.
“Mi sento davvero bene, sento di essere finalmente libera”, ha affermato Fatima*, una donna sudanese di 20 anni. “Per gli altri non è nemmeno possibile immaginare come sia la vita in Libia, ma qui in Ruanda sembra che tutto andrà bene”.
“Ora ho ritrovato la speranza”, dice Abdul, 24 anni, un Sudanese fuggito in Libia dal Darfur. “Ora sento di poter ricominciare”.
Presso il centro, l’UNHCR assicura alloggio, cibo e acqua, nonché beni per la vita di tutti giorni come vestiti, lenzuola e utensili da cucina. Nove professionisti del settore sanitario, compreso uno psicologo, e un team di consulenti specializzati nel lavoro con bambini e sopravvissuti a violenza sessuale, aiuteranno gli evacuati a curare i traumi causati dagli abusi subiti in Libia.
Alcuni saranno valutati per il reinsediamento in altri Paesi. Altri saranno aiutati con opzioni alternative, fra cui il ritorno in Paesi nei quali in precedenza era stato concesso loro l’asilo, il rimpatrio se volontario e in condizioni sicure, o restare in Ruanda con lo status di rifugiati.
Nel frattempo, i rifugiati possono vivere e lavorare nelle comunità che li accolgono. Gli abitanti di Biryogo, un piccolo villaggio nelle vicinanze, sono ottimisti rispetto all’arrivo dei loro nuovi vicini.
“Per noi è positivo perché la presenza di un maggior numero di persone ci permetterà di migliorare il nostro giro di affari”, ha dichiarato Florence, una negoziante locale. “Ma a parte questo, quando qualcuno è in pericolo è doveroso aiutare, perchè, in un altro momento, potremmo essere noi stessi ad avere bisogno di aiuto”.
Guerra, violenze e persecuzioni hanno spinto 25,9 milioni di persone nel mondo a fuggire dalle proprie case lo scorso anno. La stragrande maggioranza – circa l’85 per cento – sono accolte in Paesi in via di sviluppo.
Il Ruanda offre già riparo a circa 150.000 rifugiati, provenienti principalmente da Burundi e Repubblica Democratica del Congo. Accogliendo queste persone in arrivo dalla Libia, questa nazione dell’Africa centrale sta prendendo parte alla risposta collettiva alle crisi di rifugiati su scala mondiale.
Intervenendo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York all’inizio di questa settimana, il Presidente del Ruanda Paul Kagame, ha esortato i leader mondiali ad adottare approcci multilaterali alle sfide moderne.
“Rivolgiamo un appello a tutti i membri delle Nazioni Unite affinché tengano fede ai propri obblighi legali in uno spirito di solidarietà” ha dichiarato Kagame. “Questo partenariato [tra Ruanda, UNHCR e Unione Africana] rappresenta un chiaro segnale che possiamo cooperare per rispondere a problemi complessi. L’Africa stessa costituisce anche una fonte di soluzioni”.
“È impossibile minimizzare il ruolo fondamentale di queste evacuazioni”, ha affermato Vincent Cochetel, Inviato Speciale UNHCR per il Mediterraneo centrale. “Si tratta di ancore di salvezza che permettono che questi rifugiati, molti dei quali hanno sofferto abusi indicibili, possano ora pensare a ricostruire le proprie vite”.
Mettersi a disposizione per l’evacuazione dei rifugiati maggiormente in pericolo rappresenta uno straordinario esempio di solidarietà e di condivisione di responsabilità che sarà promosso nel corso dei meeting di alto livello che si terranno a Ginevra a dicembre.
Il Global Refugee Forum riunirà governi, organizzazioni internazionali, autorità locali, società civile, settore privato, membri delle comunità di accoglienza e rifugiati stessi per discutere le migliori politiche da adottare per proteggere i rifugiati e aiutare loro e i Paesi che li accolgono a prosperare e trovare soluzioni durature.
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