Le classi sono sovraffollate, non ci sono abbastanza libri di testo, ma Koat Reath non si lamenta. Insegnante e rifugiato sud-sudanese, Koat farebbe di tutto per migliorare la vita dei suoi alunni.
Il coro di voci di bambini provenienti dall’aula dell’insegnante Koat Reath si fa sempre più forte, sovrastando le altre classi della scuola elementare nel campo di Jewi per rifugiati sud-sudanesi nell’Etiopia occidentale.
I suoi alunni sono in piedi, battono le mani e recitano l’alfabeto in Nuer, la loro lingua madre, seguito da alcune frasi che vengono cantate con gusto in inglese. Koath crede che i bambini imparino meglio quando le lezioni sono vivaci e divertenti.
Con quasi un decennio di insegnamento alle spalle, Koat sa una o due cose sull’attirare l’attenzione dei giovani studenti – anche se questo può essere difficile a Jewi, dove più di 100 bambini sono ammassati in una classe alla volta. Fortunatamente, i suoi livelli di energia sono gli stessi di quelli dei suoi alunni, che hanno un’età tra i 5 e i 15 anni.
“Come potete vedere questi sono bambini. Insegnare ai bambini non è facile. Io uso le canzoni in modo che si divertano e non si annoiino… è il modo in cui trasmetto il mio messaggio”, ha detto Koat, il cui volto a volte severo smentisce il suo calore e il suo entusiasmo per l’istruzione.
Koat ha trascorso la pausa estiva fornendo lezioni extra ai suoi studenti nell’ambito di un’iniziativa di Plan International e di altri partner dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, l’UNHCR, per aiutare i bambini a recuperare gli anni scolastici che hanno perso a causa del conflitto in Sud Sudan.
Il padre di cinque figli condivide con i suoi giovani studenti molto più dell’amore per l’apprendimento. Come loro, anche Koat è vittima di una guerra che ha costretto a fuggire più di due milioni di sud-sudanesi. Lui e la sua famiglia sono fuggiti in Etiopia nel 2015 dopo che la loro casa nello stato di Jonglei è stata rasa al suolo.
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Il conflitto in Sud Sudan ha avuto un impatto particolarmente devastante sui bambini. Nel campo di Jewi, che ospita 54.000 rifugiati sud-sudanesi, ben due terzi sono bambini. Non solo hanno perso le loro case e visto uccidere i loro familiari, ma anni di violenza hanno anche impedito loro di ricevere un’istruzione. Alcuni non hanno mai avuto la possibilità di andare a scuola, mentre molti studenti sono stati costretti ad abbandonarla.
Consapevoli dello svantaggio che i bambini devono affrontare, Koat e i suoi colleghi sono determinati a fare tutto il possibile per colmare un vuoto educativo, il che significa che solo due terzi dei bambini sud-sudanesi in Etiopia hanno accesso alla scuola primaria. Inoltre, la stragrande maggioranza – l’86% – non può frequentare la scuola secondaria.
“Siamo qui oggi perché vogliamo insegnare ai nostri figli come essere i campioni di domani. Se non vengono istruiti bene, non avranno successo. Se gli viene insegnato bene, saranno i futuri presidenti, i futuri medici, i futuri piloti del Sud Sudan”, ha detto Koat.
Tuttavia, la carenza di aule scolastiche, di insegnanti qualificati e di materiale didattico costituisce un grosso ostacolo all’accesso all’istruzione per i bambini rifugiati sud-sudanesi. Gli studenti imparano nella loro lingua madre, il Nuer, e l’inglese, mentre gli insegnanti sud-sudanesi lavorano per adattarsi al curriculum etiope.
A differenza di Koat, molti hanno smesso di insegnare, dicendo che che gli 805 birr (27 dollari) che ricevono mensilmente come incentivo non è sufficiente.
Nonostante queste difficoltà, Koat resta deciso.
Nel pomeriggio, lascia il clamore dei suoi alunni delle elementari e si dirige verso una scuola improvvisata dove offre lezioni private a studenti adulti per 10 birr (0,34 dollari) al mese. Gli studenti si sono riuniti per costruire la scuola, che ha pareti di paglia e un tetto di tela cerata, e ha infiltrazioni d’acqua durante le piogge.
All’interno, c’è un ambiente calmo e concentrato. Una ventina di adulti, tra cui un nonno di 64 anni e una giovane madre con il suo bambino in un cesto ai suoi piedi, prendono appunti dalla lavagna.
“Sono stanco”, dice Koat, parlando del suo doppio turno. “Ma se ti impegni con la tua gente, non è un problema. Insegno a questi bambini ad essere il futuro del Sud Sudan. Cambieranno le cose brutte del Sud Sudan e faranno molto bene”.
Patrick Kawuma, capo della sede di Gambella dell’UNHCR, si preoccupa delle prospettive per i giovani sud-sudanesi che crescono senza istruzione.
“Si finisce con così tanti giovani che sono inattivi e non hanno nulla da fare nei campi, e possono essere facilmente sfruttati da qualsiasi gruppo interessato”, ha detto, aggiungendo: “Il bisogno più grande di questi bambini è l’istruzione, non c’è dubbio su questo”.
Per maggiori informazioni sull’istruzione dei rifugiati, leggi il rapporto 2019 dell’UNHCR “Stepping Up: L’educazione dei rifugiati in crisi”. Il rapporto mostra che, man mano che i bambini rifugiati diventano grandi, le barriere che impediscono loro di accedere all’istruzione diventano più difficili da superare: solo il 63 per cento dei bambini rifugiati va alla scuola primaria, rispetto al 91 per cento a livello globale.
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