Ad Amsterdam in Olanda, un edificio che ospitava criminali incalliti rinasce grazie al lavoro dei rifugiati.
L’addetto alla reception Wassim Al Wattar fa tintinnare il mazzo di chiavi mentre passeggia lungo il corridoio dell’hotel. Si ferma davanti a una porta pesante, la apre e la spinge con un rumore metallico. La luce del giorno filtra dalle finestre a sbarre e ricade su due letti austeri in una stanza spoglia. Si sente passare un treno fuori.
Se sembra una cella, è perché ci troviamo in quella che una volta era una famigerata prigione ad Amsterdam. Dopo la sua chiusura nel 2016, l’edificio è diventato un pop-up hotel di successo gestito da rifugiati, fino a quando non ha chiuso bottega poche settimane fa.
“Gli ospiti lo amavano perché era diverso”, dice Wassim, un rifugiato siriano che una volta alla settimana lavorava alla reception del Movement Hotel di Bijlmerbajes. “Ogni giorno c’erano nuove esperienze, nuove persone, nuove storie”.
E’ stata un’esperienza. Al piano inferiore c’era la reception, che una volta era la stanza dove le guardie carcerarie andavano a riposare. Le pareti rosa acceso non sono state in grado di eliminare del tutto la brutta sensazione di entrare in un palazzo che per quattro decenni ha ospitato alcuni dei criminali più incalliti dei Paesi Bassi.
Dopo la chiusura della prigione nel 2016, cinque delle sei torri sono state utilizzate come rifugio temporaneo per i richiedenti asilo. Sconcertata da questa soluzione tutt’altro che ideale, la ONG olandese Movement on the Ground ha iniziato a cercare un modo per dare nuova vita agli edifici desolati. Così è nata l’idea di un pop-up hotel gestito dai rifugiati, che non solo sarebbe servito a questo scopo ma, ancora meglio, avrebbe creato posti di lavoro per i nuovi arrivati.
“Volevamo attirare le persone invece di allontanarle”, ha dichiarato Nina Schmitz, amministratore delegato di Movement on the Ground. “Ci siamo detti: vediamo se possiamo trasformare questo posto da una macchia nera in un punto luminoso”.
Più di 50 rifugiati hanno lavorato nell’hotel dalla sua apertura nel settembre 2017. Il personale ha ricevuto un training nel settore alberghiero e ha acquisito l’esperienza di cui aveva bisogno per trovare lavoro nella promettente industria del turismo di Amsterdam. Wassim, per esempio, spera che questa esperienza aumenterà le sue prospettive lavorative.
“Ora ho nuove capacità, ho imparato molto”, dice Wassim, 28 anni, che fino a poco tempo fa divideva il suo tempo tra l’hotel, i turni in un fast food e la fotografia freelance. La cosa migliore dell’hotel era che gli ospiti spesso imparavano tanto quanto lo staff.
“Era un luogo di incontro multiculturale”, afferma Wassim. “Alcuni ospiti venivano qui per fare un’esperienza. Altri perché volevano sentirsi a proprio agio con le persone che lavorano qui”.
“Tutti vogliono passare la notte in prigione solo per divertimento”, concorda Nina. “Ma una volta arrivati gli ospiti iniziavano a fare allo staff domande sulle loro storie. È qui che è avvenuta la vera integrazione, proprio qui nella hall dell’hotel”.
Incontri simili sono ancora in corso proprio di fronte al cortile della prigione, in un ristorante gestito da rifugiati, chiamato A Beautiful Mess, che rimane aperto.
Il ristorante si trova nella ex lavanderia della prigione e lungo il muro c’è ancora una fila di lavatrici e asciugatrici industriali.
Il gestore Hayder Al Saadi spuma latte per un cappuccino dietro al bancone. “Le persone sono curiose”, dice. “Vengono a gironzolare e a fare foto. Altri sentono che siamo rifugiati e vogliono incontrarci e provare il nostro cibo. Poi vedono che sì, sono un rifugiato, ma sono anche solo una persona normale”.
Come l’hotel, il ristorante è stato progettato per attirare le persone sul luogo e aiutare i nuovi arrivati ad inserirsi nel settore. Per Hayder, 30 anni, il progetto dell’ONG olandese Refugee Company ha fatto molto di più. Originario di Baghdad, inizialmente ha faticato ad ambientarsi nei Paesi Bassi dopo essere arrivato nel 2015.
“La mia vita è cambiata molto con questo progetto”, ha detto Hayder, che si è unito a quello che all’epoca era un piccolo pop-up bar come barista in prova la scorsa primavera. “Sono cresciuto dal giorno in cui ho iniziato qui. Ma non è venuto solo da me. È la fiducia che ho ricevuto dalle persone, dalle attenzioni, dallo spazio che mi hanno dato. Questo fa la differenza”.
Hayder gestiva un suo bar in Iraq, ma presto scoprì che aveva molto da imparare sul settore nei Paesi Bassi. Tutto era diverso, dal rapporto con i fornitori, al modo in cui la gente prendeva il caffè. Dopo alcuni mesi, il suo duro lavoro ha dato i suoi frutti. Quando la caffetteria è diventata un ristorante la scorsa estate, il team gli ha offerto un lavoro a tempo pieno.
“Era un mio grande desiderio”, ha detto Hayder, che si sente sollevato all’idea di essere autosufficiente invece di affidarsi al supporto delle autorità olandesi. “Volevo davvero trovare un lavoro il prima possibile per provvedere a me stesso”.
Un anno dopo, Hayder è così ben inserito nella gestione del ristorante da essere in grado di insegnare agli altri. Ogni due settimane, lui e il suo team tengono un corso di formazione per gruppi di camerieri con vari livelli di esperienza. Altri 20 persone vengono formate in cucina, dove si prepara una selezione di piatti mediorientali e africani.
Come con l’hotel, il ristorante è stato un grande successo con residenti e turisti, con tutti i tavoli pieni quattro sere a settimana. Eppure entrambi i progetti sono solo temporanei. Con gli ultimi richiedenti asilo ora reinseriti, le torri della prigione saranno demolite per far posto agli alloggi. Una cosa è chiara: con il loro uso innovativo dello spazio vuoto, entrambi i progetti hanno aiutato innumerevoli nuovi arrivati come Wassim e Hayder a trovare la loro strada.
“È una sensazione incredibile ricevere un tale aiuto dalle persone ad Amsterdam”, ha detto Hayder, che spera di continuare a lavorare nel ristorante che sarà trasferito in una nuova sede la prossima estate. “Ti fa sentire come se ti si fossero aperte tutte le porte”.
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