Noi crediamo che l’acqua rappresenti la vita. A volte però, l’acqua è il contrario: l’acqua è la morte. Pensavo a questo mentre attraversavo le mortali acque del mare Egeo, tra la Turchia e la Grecia, pensavo al fatto che potevo morire, pensavo alle migliaia di persone che hanno perso la propria vita in quello stesso mare.
Quando sei in mare per tante ore, senza sapere se sopravvivrai, ti afferri a quell’unica cosa che ti è rimasta: la speranza. Nessuno di noi potrebbe vivere un solo secondo senza la speranza.
Sono andato dalla Grecia alla Turchia in un gommone gonfiabile. Le onde erano alte e il gommone si è quasi rotto. Quando abbiamo visto le navi di salvataggio che venivano dalle coste greche, tutti hanno iniziato a gridare: “Grazie, Dio! Grazie, Dio!” Pregavamo che qualcuno ci aiutasse, e quando sono venuti, sono scoppiato a piangere, non sono nemmeno riuscito a dir loro grazie.
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Quando siamo scesi dalla barca, alcune persone dell’UNHCR ci hanno dato cibo, tè, vestiti.
Noi sappiamo che ogni paese ha le proprie regole, allora quando ero in Grecia ho fatto di tutto per seguire i loro regolamenti. Ho vissuto in un campo militare per circa tre mesi.
Provavo a fare tutto quello che potevo, provavo a far sorridere le persone. Ho dato una mano come interprete per le persone che parlavano pashto, farsi e urdu, e ho fatto dei turni insieme a soldati greci, per distribuire saponi, shampoo, dentifrici, materassi, cuscini e lenzuola. Quello che mi è rimasto più impreso di quei giorni sono le ore passate a insegnare l’inglese a donne e bambine. Lo facevo gratis, ovviamente, soltanto per aiutarle. Non puoi dire no quando vedi che qualcuno vuole imparare qualcosa di quello che è l’oceano della conoscenza. Una delle persone al campo ci ha messo a disposizione un’aula.
Imparavo molto dai miei allievi ogni volta che correggevo i loro errori. Nessuno è perfetto nel campo della conoscenza. Abbiamo seminato i germi dell’amore, della simpatia, dell’apertura e abbiamo creato un ambiente di pace. Ogni giorno però, faceva sempre più caldo, e diventava sempre più difficile vivere in una tenda. Poi, è arrivato il tempo che io raggiungessi quella parte della mia famiglia che vive in Germania.
Questo è stato più difficile di quanto immaginassi. Dalla Grecia, ho attraversato la Macedonia, la Serbia e l’Ungheria. Superare i confini di questi paesi è stato complicato. Attraversare intere foreste è stato davvero duro. Oltre ad essere esausto, sei anche privo di cibo e acqua, non hai accesso al primo soccorso: è pericoloso.
Quando sono finalmente arrivato alla frontiera fra la Serbia e l’Ungheria, mi sono trovato nel campo con altri, la maggior parte afghani, che aspettavano di poter attraversare il confine legalmente. Sono stato lì 18 giorni. Fronteggiare l’attesa, essere paziente, rimanere determinato a raggiungere i tuoi obiettivi, richiede coraggio e un alto livello di sopportazione.
Non c’erano bagni o docce. Le famiglie vivano in tende e io dormivo all’aperto. Avevo già visto persone in queste condizioni a Kabul, poveri e senza fissa dimora. Ora mi trovavo anch’io in quelle condizioni.
Poco a poco, iniziavo a perdere la speranza. Mi chiedevo: perché deve essere così difficile la vita? Tra le lacrime, cantavo una canzone che fa: “Mi chiedo, quale tipo di coraggio ha avuto Dio?” Durante quei giorni, ho capito cosa significa non avere un rifugio, cosa sia il dolore e cosa la tristezza.
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Questa è la storia di un giornalista Afghano, i cui sogni di pace e democrazia per il suo paese sono stati uccisi dalla guerra. Omid Ahmadi ha 17 anni, studiava giornalismo in Afghanistan e lavorava a Kabul per una agenzia di giornalismo indipendente, Neda-e-Agah (il suono della consapevolezza.) È stato uno dei giornalisti che hanno coperto il ritorno dei Talebani nella provincia di Kunduz. Dopo questo, combattenti dei Talebani sono venuti a casa sua, hanno puntato un’arma alla testa a suo padre e hanno distrutto la sua casa. Lui, per fortuna, non era a casa quando questo è successo.
“Mia madre mi ha detto di scappare,” ci racconta. “Sono scappato da solo, senza poter dire addio alla mia famiglia.”
“A casa avevo tanti libri. Studiavo giornalismo, psicologia, filosofia. Ero sposato con lo studio. Lo studio è un albero di frutti infiniti.”
Ora è in un centro di accoglienza a Bad Fallingbostel, in Germania.
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