Dopo 15 mesi di percosse e abusi, tenuta prigioniera dai trafficanti libici, una madre somala si ricongiunge ai suoi figli adolescenti a Niamey.
Amina ha due figli ed è di nazionalità somala. Prima di cadere nelle mani dei trafficanti libici era una donna forte e dinamica. Dopo oltre un anno di incessanti percosse e scosse elettriche è distrutta e incapace di camminare.
“Quando sono arrivata in Libia, camminavo, non avevo bisogno di nessun aiuto… ma guardatemi ora” dice, sollevando disperata le braccia rotte e mostrando le gambe paralizzate.
La donna di 42 anni è tra le migliaia di rifugiati e richiedenti asilo provenienti da tutta l’Africa che intraprendono viaggi disperati in cerca di salvezza, finendo troppo spesso prigionieri di spietati trafficanti di esseri umani in Libia.
Tenuti in ostaggio per mesi a scopo di estorsione in condizioni drammatiche, molti subiscono abusi e torture che li segneranno per tutta la vita.Amina è stata sottoposta a scariche elettriche e picchiata, come lei stessa racconta. “Mi legavano le mani dietro la schiena, e dopo mi lasciavano fuori al freddo”.
Il suo calvario è iniziato nel 2015 quando la sua casa nella capitale, Mogadiscio, è stata distrutta da una bomba che ha ucciso suo marito e suo fratello.
Senza poter accedere a un’istruzione e con risorse limitate, i suoi figli, Ahmed e Mohamed, rispettivamente di 13 e 14 anni, rischiavano il reclutamento forzato da parte del gruppo armato Al-Shabab, come tanti ragazzi della loro età.
Non avendo molta scelta, nel 2016 i due fratelli sono partiti in segreto con una cugina in cerca di salvezza, imbarcandosi in un viaggio che li avrebbe portati nello Yemen, nel Sudan e poi in Libia.Quando Amina è venuta a sapere che erano andati via, è partita per lo Yemen, un paese devastato dalla guerra, nella speranza di trovarli.Cinque mesi dopo è finalmente riuscita a raggiungerli in Sudan, ma nessuno di loro poteva immaginare cosa li attendeva in Libia.
Dopo aver inizialmente negoziato con i trafficanti, sono partiti diretti a nord del Sahara; per giorni hanno viaggiato quasi senza bere o mangiare, in un caldo opprimente. Amina si è indebolita e i trafficanti volevano abbandonarla nel deserto, ma i suoi figli si sono rifiutati di lasciarla.
All’arrivo nella città di Bani Walid, nella Libia occidentale, è iniziato il vero orrore. I trafficanti hanno richiesto 10.000 dollari USA per ciascuno dei quattro membri della famiglia. Amina non aveva i mezzi per pagare o una famiglia a cui chiedere aiuto.
“Mi hanno torturato in maniera orribile. Li ho implorati di non torturare la mia famiglia” racconta la donna, che si è offerta di subire tutti gli abusi per risparmiare i figli e la nipote.
Dopo sette mesi il suo corpo ha iniziato a cedere sotto il peso delle torture. Amina non riusciva più a reggersi in piedi e a muovere le mani. Così i contrabbandieri hanno iniziato a torturare i ragazzi. Dopo 15 mesi di prigionia, Amina era sul punto di morire. Non volendo occuparsi di un cadavere e rendendosi conto che non avrebbero ottenuto i soldi che chiedevano, i contrabbandieri li hanno infine lasciati andare.
“Sapeva che sarei morta e non voleva questo, quindi alla fine ci ha lasciati andare” ricorda Amina. Poiché anche un’altra nipote era prigioniera nello stesso luogo, tutta la famiglia è andata via insieme. Insieme a un gruppo più numeroso sono stati trasferiti sulla costa. Erano tra i fortunati.
Sono stati ammassati su un gommone diretto in Europa. Sapevano che era sovraccarico, con più di 100 persone a bordo, ma non potevano andarsene. Diverse ore dopo la barca ha iniziato ad affondare gettando tutti nel panico. Tuttavia una nave della Guardia costiera libica li ha riportati a riva.
Al porto li attendeva l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Amina era in condizioni critiche ed è stata portata d’urgenza in ospedale. Le autorità hanno accompagnato i ragazzi e i loro cugini in un centro di accoglienza, dove l’UNHCR li ha informati che avrebbero preso un volo per il Niger.
Il trasferimento è stato organizzato tramite il Meccanismo di transito delle evacuazioni di emergenza dell’UNHCR (ETM), istituito nel novembre 2017. Finora, 1.020 rifugiati tra i più vulnerabili, come Amina e la sua famiglia, sono stati evacuati in Niger su base temporanea, mentre per loro si cercano soluzioni a lungo termine, incluso il reinsediamento.
I ragazzi sono stati i primi ad essere evacuati. Erano entusiasti della notizia, ma temevano di lasciare di nuovo la madre. L’UNHCR li ha rassicurati sul fatto che presto li avrebbe raggiunti.
“Eravamo molto ansiosi; dal momento in cui siamo atterrati in Niger non abbiamo mai smesso di chiedere di nostra madre: se fosse viva e quando l’avremmo rivista” dice Mohamed. Con loro grande sollievo, l’UNHCR è riuscita a organizzare un volo per portare Amina e sua nipote in Niger la settimana seguente.
Quando parliamo dell’evacuazione, l’umore cambia completamente. Amina ricomincia a piangere, ma questa volta dalla felicità. “Tutto è cambiato in un minuto. Ero così felice. Invece di sentirmi depressa, mi sentivo benedetta” ricorda.
“Non c’è nulla di più importante per noi nella nostra vita di nostra madre, e siamo davvero molto grati che stia bene” dice Ahmed, con un bel sorriso. “Voglio tornare [in Somalia] un giorno” aggiunge. “Voglio portare un cambiamento nel mio paese… ma come posso farlo se non riesco nemmeno a proteggere me stesso?”
A causa degli abusi e delle scariche elettriche subite, Amina è costretta su una sedia a rotelle e ha bisogno che le sue nipoti si prendano cura di lei.Le vicissitudini narrate da questa famiglia non sono insolite tra le persone evacuate dalla Libia, un paese da cui arrivano frequenti notizie di percosse, torture e stupri.
Un rapporto pubblicato oggi, Viaggi Disperati, rileva come negli ultimi mesi si sia verificato un peggioramento molto preoccupante della salute dei nuovi arrivati dalla Libia: un numero crescente di persone infatti sbarca in precarie condizioni di salute, mostrando segni di estrema debolezza e magrezza.
L’UNHCR rivolge un appello per trovare altri luoghi di reinsediamento e consentire alle persone evacuate di iniziare a pianificare un futuro.
“Ad oggi 2.483 luoghi sono state destinati ai rifugiati in Niger, ma ne sono necessari altri. Questo è essenziale per evitare che si creino le stesse condizioni per altri rifugiati ancora intrappolati in Libia, dove le loro vite sono state sospese” dice Alessandra Morelli, funzionario dell’UNHCR in Niger.
Dei rifugiati che sono stati finora evacuati in Niger, 84 hanno lasciato il paese, in gran parte attraverso il reinsediamento, mentre un piccolo numero si è ricongiunto con i propri famigliari in Europa o ha ricevuto visti umanitari.
“Le operazioni di evacuazione dalla Libia e le maggiori opportunità di reinsediamento che abbiamo visto l’anno scorso sono ottime notizie” ha dichiarato Pascale Moreau, direttrice dell’Ufficio per l’Europa dell’UNHCR.
“Restano ancora seri ostacoli che limitano l’accesso a percorsi sicuri e legali, incluso il ricongiungimento familiare, per le persone bisognose di protezione internazionale e chiediamo pertanto più solidarietà”.
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