Oltre 27.000 etiopi sono fuggiti in Sudan per mettersi in salvo dagli scontri in corso nella regione del Tigrè e hanno urgente bisogno di cibo, alloggio e medicinali.
“Non sapevamo cosa stesse succedendo quando abbiamo sentito gli spari” ricorda. “Molte persone sono state uccise: abbiamo visto dieci, venti corpi stesi a terra. È stato allora che abbiamo deciso di fuggire”.
Non avendo il tempo di fare i bagagli, ha iniziato un estenuante viaggio di tre giorni per raggiungere il vicino Sudan nel disperato tentativo di mettersi al sicuro.
“Ho camminato fino a ricoprirmi le gambe di ferite sanguinanti”, aggiunge, alcuni giorni dopo aver raggiunto la città di Hamdayet, al confine con il Sudan. “Ringrazio Dio perché qui siamo al sicuro e abbiamo da mangiare”.
Le violenze nella regione del Tigrè, a nord dell’Etiopia, hanno costretto più di 27.000 etiopi come Gannite a fuggire nel vicino Sudan la scorsa settimana. Più della metà sono donne e bambini. Molti sono fuggiti con pochi effetti personali e sono arrivati in Sudan esausti, dopo aver percorso lunghe distanze su terreni accidentati.
“Sono arrivata qui con i miei figli cinque giorni fa. Non ho ancora visto mio marito” racconta Abeet, che è fuggita con i suoi figli su un carro, in un villaggio vicino. “Ci sono voluti tre giorni per raggiungere un posto sicuro” aggiunge.
L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, lancia l’allarme per la crescente crisi umanitaria che ha colpito la regione, innescata dai conflitti tra il governo federale etiope e le forze del Tigrè che perdurano dall’inizio di novembre.
Il governo etiope ha proclamato lo stato di emergenza per sei mesi nel Tigrè, dove la mancanza di elettricità, telecomunicazioni e accesso a carburante e denaro rappresenta un serio ostacolo a qualsiasi intervento umanitario.
La maggior parte di coloro che fuggono in Sudan attraversano il confine di Hamdayet nello Stato di Kassala, mentre altri raggiungono quello di Lugdi nello Stato di Gedaref. Si tratta di una zona di confine molto remota, che dista almeno sei ore di macchina dal centro urbano più vicino e per questo rende difficile una tempestiva consegna di cibo e rifornimenti.
L’UNHCR, insieme ai suoi partner, tra cui il Commissario del Sudan per i rifugiati, il PAM, l’UNICEF, Muslim Aid e la Mezzaluna Rossa sudanese, è impegnato a fornire rifugi temporanei, cibo, acqua potabile e ad effettuare controlli sanitari sui nuovi arrivati. Vengono anche distribuiti generi di prima necessità, comprese coperte, materassi e teli di plastica.
Sono inoltre state avviate campagne di informazione sulla prevenzione del COVID-19 e dalla capitale, Khartoum, sono state inviate forniture di sapone e 50.000 mascherine da distribuire presso i punti di ingresso a Kassala e Gedaref. Ma il flusso massiccio di nuovi arrivi supera gli sforzi umanitari.
Oltre 12.000 persone sono ammassate nel centro di transito di Hamdayet, che può ospitare un massimo di 300 rifugiati. Le strutture igienico-sanitarie sono insufficienti, e questo pone un serio problema per l’igiene pubblica.
Le comunità di accoglienza sono già allo stremo.
“La situazione è davvero impegnativa perché le risorse che abbiamo a disposizione sono molto limitate. Stiamo cercando di venire incontro ai bisogni di tutti”, spiega Salah Al Dine Ramadn, leader della comunità sudanese di Hamdayet.
Ramadn è preoccupato per il numero crescente di arrivi a Kassala, e sottolinea l’esiguo numero di strutture di accoglienza, la mancanza di elettricità e servizi sanitari limitati.
“Esortiamo il governo locale e le agenzie umanitarie a venire in nostro soccorso perché ci aspettiamo un incremento del numero di arrivi”, afferma.
L’UNHCR prevede un aumento dei flussi e sta lavorando a un piano di emergenza per 50.000 persone.
Da sabato, 2.500 persone sono state trasferite nel campo di Um Raquba, a circa 80 chilometri dal confine, ma è necessario individuare altri luoghi adatti a ospitare campi d’accoglienza.
Nel frattempo, Azeeb spera di ricongiungersi con il marito e prega affinché le violenze finiscano.
“Il mondo intero vede la nostra sofferenza. Non è giusto uccidere le persone in questo modo” sostiene. “Preghiamo affinché il Signore riporti la pace nel nostro Paese”.
Secondo le informazioni disponibili, dall’altra parte del confine a nord dell’Etiopia il numero di civili sfollati a causa del conflitto cresce di giorno in giorno.
Ma la mancanza di accesso, unita all’impossibilità di far arrivare gli aiuti nella regione, rimangono i principali ostacoli per le organizzazioni umanitarie che cercano di raggiungere le persone bisognose. L’UNHCR e i suoi partner sono pronti a fornire assistenza agli sfollati, distribuendo beni di prima necessità, non appena la situazione consentirà l’accesso a tali zone.
Il perdurare dei conflitti fa temere anche per i circa 96.000 rifugiati eritrei nel Tigrè, la maggior parte dei quali vive nei campi e dipende dagli aiuti umanitari che sono già stati interrotti.
Il campo di Shimelba è situato in prossimità del conflitto, e l’UNHCR e i suoi partner non riescono ad accedervi a causa dell’instabilità della situazione. Si teme sempre più un’ulteriore ondata di esodi forzati all’interno del paese.
Sebbene non siano stati ancora rilevati ingenti flussi in uscita dai campi, sono stati tuttavia segnalati movimenti di rifugiati verso ovest da Shimelba al campo di Hitsats. Ma se le condizioni di sicurezza non miglioreranno e l’accesso continuerà a essere impossibilitato, ci saranno conseguenze negative sulla capacità di monitorare o fornire servizi di assistenza.
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