Quando i militanti di Boko Haram hanno preso d’assalto la sua città, Mariam Adoum, incinta e al termine della gravidanza, ha lasciato tutto per salvarsi.
Quattro giorni dopo aver raggiunto una città di confine nel deserto del Camerun, ha partorito in una tenda in un campo per rifugiati improvvisato. Ora si chiede come potrà prendersi cura di suo figlio.
“E’ così difficile avere un bambino qui. Ho paura”, dice. “Siamo fuggiti senza portare niente con noi. Abbiamo bisogno di latte e di un riparo adeguato. Mio figlio crescerà qui, non abbiamo scelta”.
Mariam è tra 35.000 uomini, donne e bambini fuggiti dall’escalation di attacchi di Boko Haram nella zona di Rann, nello stato del Borno in Nigeria. Molti di loro sono fuggiti a Goura, nel distretto di Makary in Camerun.
Fanne Gambo, anziana del luogo, ha iniziato a correre quando i miltanti hanno iniziato a sparare, senza guardarsi indietro mentre i suoi vicini di casa in fuga con lei venivano colpiti.
“Sentivamo gli spari dietro di noi”, ha raccontato poco dopo il suo arrivo nel campo. “Nella fuga non mi sono davvero resa conto di cosa stesse succedendo, vedevo solo corpi senza vita per terra e persone che venivano uccise”.
Dall’inizio della rivolta di Boko Haram nel 2009, nel nord-est della Nigeria la violenza non si è mai fermata, costringendo 2,5 milioni di persone a fuggire dalle loro case in cerca di sicurezza.
Migliaia di persone sono state costrette a fuggire più volte all’interno del paese stesso, mentre altre, come Blama Tchama, hanno ripetutamente cercato salvezza oltre il confine.
“Siamo stati in Camerun sette volte e ogni volta siamo stati rimandati in Nigeria. Ma stavolta resteremo qui.. Non c’è nessuna sicurezza da dove siamo venuti”, dice.
L’ultima volta Blama è fuggita dopo che una Task Force congiunta internazionale, arrivata per mettere in sicurezza la città dopo l’attacco del 14 gennaio, si è ritirata lasciando le persone del luogo ad affrontare i militanti, armati di fucili e lanciamissili.
“Hanno provato a difendersi da soli. Ma come potevano difendersi con archi e frecce contro combattenti pesantemente armati?”, si chiede Blama.
La Task Force, che include forze armate da Camerun, Ciad, Nigeria, Niger e Benin, mira a contrastare Boko Haram e a evitare che altri gruppi di ribelli possano guadagnare terreno nella regione del Lago Ciad.
La grande maggioranza delle persone arrivate di recente è fuggita tra il 26 e il 27 gennaio, attraversando il fiume El-Beid in massa, alcuni con poche proprietà trasportate su carretti trainati da muli o sulla propria testa.
“In questo ambiente remoto e deserto, i rifugiati hanno necessità enormi”, dice Geert Van de Casteele, assistente del Rappresentante dell’UNHCR in Camerun, arrivato a Goura per incontrare i nuovi arrivati e valutare le loro esigenze.
“Si tratta di fornire assistenza medica, cibo e acqua, e di trovare rapidamente risorse con cui costruire ripari temporanei in una regione dove le condizioni climatiche sono particolarmente dure”, aggiunge.
Insieme al Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo e ad altri partner, l’UNHCR ha lanciato un appello per raccogliere 135 milioni di dollari USA. I fondi saranno usati per aiutare centinaia di migliaia di persone costrette a fuggire a causa della rivolta di Boko Haram nella regione del bacino del lago Ciad.
Un’azione urgente è necessaria per supportare il Camerun, che ospita già più di 400.000 rifugiati, tra cui circa 135.000 nigeriani.
“Le persone fuggite dicono chiaramente che non vogliono tornare a Rann, che è già stata attaccata almeno quattro volte da settembre 2018”, dice Van de Casteele. “Non si sentono al sicuro, e oggi sta a noi offrire loro la protezione cui hanno diritto”, aggiunge. Il mese scorso, l’Agenzia ha espresso preoccupazione per le notizie sul rimpatrio forzato di migliaia di rifugiati nigeriani da parte del Camerun, per cui sarebbero stati costretti a tornare nello stato del Borno, colpito dalla violenza.
Tra coloro che temono che non saranno mai al sicuro nel nord della Nigeria, c’è Amma Zarama Hamat, mamma di quattro figli. Amma ha perso il maggiore dei suoi figli due anni fa in un attacco di Boko Haram, e ha trascorso gli ultimi otto anni vivendo nella violenza.
“Vengono regolarmente per prendere tutto quello che abbiamo. Prendono il nostro cibo e tutto quello che possediamo, e poi se ne vanno”, dice. “Non posso tornare lì. Sono riuscita a mettermi in salvo per un pelo. Ho perso mio figlio maggiore. Ora sono qui e non me ne andrò. Morirò qui in Camerun”.
Gaelle Massack, funzionaria per le Relazioni Esterne dell’UNHCR, spera e prega che sia possibile soddisfare le necessità dei rifugiati nei diversi ambiti.
“Dopo aver visto tanta sofferenza, e dopo aver visto la speranza a cui le persone in fuga si aggrappano disperatamente, riusciamo a pensare ad una sola cosa: che presto possano sostenersi da soli, e avere una vita migliore di quella che hanno lasciato in Nigeria”.
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