Mentre in alcune parti della Repubblica Democratica del Congo orientale continuano scontri sporadici, migliaia di persone in Uganda hanno scelto di tornare a casa. Altri, incerti sul futuro, hanno scelto di rimanere.
“Sono preoccupato per loro. Non so se li rivedrò ancora” afferma Mongera.
Lui e la sua famiglia sono stati costretti a fuggire con quel poco che potevano portare con sé dopo che il loro villaggio a Masisi, nel territorio di Rutshuru, nella provincia del Nord Kivu, è stato attaccato da milizie armate all’inizio di ottobre. Hanno fatto l’autostop e sono saliti un camion che li ha portati nella cittadina di Bunagana, vicino al confine con l’Uganda, dove sono rimasti con alcuni parenti per circa un mese.
Ma quando l’8 novembre sono scoppiati i combattimenti tra i gruppi armati e le forze armate congolesi nei villaggi vicini alla città, il governo ugandese ha aperto il confine – che era stato chiuso a causa delle restrizioni imposte dal COVID-19 – e ha permesso alle persone in fuga dalla violenza di entrare nel Paese.
“È la prima volta che cerco rifugio in Uganda e spero che saremo aiutati” dice Mongera.
L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, le autorità e i partner ugandesi hanno fornito assistenza a 11.000 congolesi entrati nel Paese, trasferendo oltre 1.000 di loro – compresa la famiglia di Mongera – nel centro di transito di Nyakabande.
Pochi giorni dopo, circa 10.000 persone sono rientrate nella RDC dopo che i funzionari ugandesi e congolesi le hanno informate che potevano rientrare in sicurezza.
Tra loro c’era Enoch Twaza, 50 anni, che ha deciso di tornare a casa sua a Bunagana, nonostante l’iniziale riluttanza di sua moglie Jennifer.
“Abbiamo lasciato molti dei nostri beni e ci è stato garantito che il rientro sarebbe stato sicuro. Se la situazione dovesse peggiorare, torneremo in Uganda”, ha spiegato Enoch, padre di otto figli, prima della sua partenza.
Jennifer non era convinta che il rimpatrio fosse sicuro e voleva aspettare ancora qualche settimana, ma alla fine ha accettato e ha aiutato a riportare il bestiame della famiglia oltre il confine.
Joel Boutroue, Rappresentante dell’UNHCR in Uganda, ha affermato che l’improvviso movimento di richiedenti asilo congolesi in Uganda è un indicatore di “quanto sia instabile e imprevedibile la situazione nella Repubblica Democratica del Congo orientale”.
Di fronte a tale instabilità, Alivera Nyamakabambelle è combattuta tra il restare e il tornare a casa. La donna, che ha ottantaquattro anni, è fuggita di notte con la sua famiglia di sette persone, lasciandosi alle spalle il rumore delle bombe e degli spari.
“Se fosse per me, tornerei indietro, ma la mia famiglia vuole restare e siccome non ho nessuno a casa che si prenda cura di me, devo restare anch’io” ha detto tristemente.
Sua nipote, Tusenge Wema, è d’accordo.
“Tornare a casa nel prossimo futuro non è un’opzione. Resteremo in Uganda e inizieremo una vita qui”, sostiene la ragazza ventitreenne, una tra i circa 1.000 nuovi arrivati dalla RDC che per ora hanno deciso di rimanere.
Molti di coloro che sono tornati hanno riferito al personale dell’UNHCR nella RDC che durante la loro assenza i loro beni sono stati saccheggiati, comprese le scorte di cibo e il bestiame, lasciandoli in una situazione precaria e bisognosi di assistenza umanitaria.
Boutroue ha affermato che sono necessarie più risorse per sostenere l’Uganda, che, con oltre 1,5 milioni di rifugiati, è il più grande Paese d’accoglienza in Africa.
“Abbiamo bisogno di più risorse per rafforzare la nostra preparazione alle emergenze e la capacità di accogliere nuovi arrivi, poiché la probabilità di nuove violenze e migrazioni forzate è molto alta” afferma, rilevando che la capacità del centro di transito di Nyakabande sarà aumentata per ospitare fino a 10.000 persone.
Ha aggiunto infine che coloro che sceglieranno di restare saranno assistiti fino a quando non saranno pronti a fare ritorno alle proprie abitazioni.
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