Anh Lê, proprietaria della famosa catena di ristoranti LêLê a Copenaghen, è stata reinsediata in Danimarca da un campo per rifugiati nel 1979.
È nota come la chef di un programma televisivo mattutino, come l’affermata proprietaria di una catena di ristoranti che ha aperto la strada in Danimarca ai sapori della cucina vietnamita e come l’autrice di libri di cucina che ha migliorato le abitudini culinarie di migliaia di persone. Ma se tornassimo indietro nel tempo di 40 anni, il futuro di Anh Lê sarebbe sicuramente incerto.
Era il 1979, e da anni il regime comunista costringeva i vietnamiti ad abbandonare le proprie case e trasferirsi al nord. I genitori di Anh Lê dovettero prendere una difficile decisione, abbandonando anche loro la propria casa. La famiglia riuscì a fuggire dal paese su una barca, ma solo al terzo tentativo.
Viaggiarono per due settimane di paese in paese, ma nessuno voleva ospitarli. Hong Kong, Malesia e Indonesia si rifiutarono di accoglierli finché il padre di Anh Lê non decise di far schiantare l’imbarcazione su cui viaggiavano su una scogliera in Indonesia così che lo Stato non avesse altra scelta che accettarli.
“Non sarei dove sono oggi se non fossi cresciuta in Danimarca”
Anh Lê aveva solo 5 anni, quando la sua famiglia fu trasferita in un campo per rifugiati condividendo un’unica tenda con altre tre famiglie. Dormivano tutte le notti sul pavimento umido, ma un giorno arrivò un messaggio che Anh Lê non avrebbe mai dimenticato: sarebbero stati reinsediati in Danimarca.
“Fu incredibile. Non sarei dove sono oggi se non fossi cresciuta in Danimarca”
Ma adattarsi alla vita in Danimarca non fu semplice. Anh Lê era abituata al clima caldo del Vietnam, dove era solita passare giornate intere per strada, chiacchierando con i vicini e condividendo i pasti con i suoi amici. Quando arrivò in Danimarca, dove la vita della maggior parte delle persone si svolge perlopiù in ambienti interni, notò subito la differenza. “A meno che tu non conosca già qualcuno prima di arrivare, è molto difficile fare amicizia” racconta Anh Lê.
Anh Lê crede che sia importante che i danesi tendano la mano e aiutino i rifugiati che arrivano in Danimarca, soprattutto se si vuole che diventino parte integrante della società e familiarizzino con il modo di vivere e la cultura danese.
“Non possiamo dire alle persone che devono conoscere e rispettare la cultura danese se non gli mostriamo cosa sia.”
Quando nel 1979 la sua famiglia arrivò ad Aalborg, nel nord della Danimarca vennero affiancati a una “contact family” – una famiglia normale, appartenente alla classe operaia, con tre figli. Nella loro casa Anh Lê ha imparato a gustare il dolce tradizionale chiamato “Rødgrød”, a decorare l’albero di Natale e ha scoperto le gioie dei panini danesi. E furono i vicini del piano di sopra che portarono la famiglia di Anh Lê ai giardini pubblici, dove cominciarono ad allargare il proprio giro di conoscenze.
“Non possiamo dire alle persone che devono conoscere e rispettare la cultura danese se non gli mostriamo cosa sia. Non spetta solo ai politici farlo ma a tutti noi civili cittadini”.
Secondo Anh Lê, anche i rifugiati hanno la loro parte di responsabilità nel processo di integrazione: imparando la lingua del posto, intraprendendo un percorso di studi o ottenendo un lavoro. Considerarli vittime o nasconderli in ghetti non funzionerebbe, ed è qui che, secondo lei, molti processi integrativi hanno fallito.
“I rifugiati non sono esigenti quando arrivano qui”
L’inattività e l’isolamento non sono vantaggiosi e non portano benefici a nessuno – i rifugiati devono avere accesso al mercato del lavor e lavorare al fianco dei loro colleghi danesi per poter acquisire la cultura del lavoro e trovare uno scopo nella vita. Secondo Anh Lê è proprio ciò che è accaduto ai suoi genitori, anche se loro hanno dovuto fare diversi lavori prima di far quadrare i conti.
“I rifugiati non sono esigenti quando arrivano qui. Nessun rifugiato che abbia vissuto tra la vita e la morte direbbe; voglio questo e solo questo”.
Oggi Anh Lêè distante anni luce da quella tenda in Indonesia, ma quando i media sono stati invasi da foto di rifugiati in cammino sulle autostrade danesi o in lotta per la loro vita stipati in gommoni nel mezzo del Mar Mediterraneo, i ricordi delle sue esperienze sono tornati a galla.
Se ei un rifugiato non potrai mai dimenticare quello che hai vissuto. Rimane tutto dentro di te e ti i condizionerà per tutta la vita. Ma da tutto ciò ho tratto una forza di volontà che mi permette di andare sempre avanti nella mia vita.
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