Giovani rifugiati e ragazzi irlandesi hanno passato una settimana in mare, imparando a manovrare una barca a vela di 70 piedi.
Al comando, i ragazzi si gettano in avanti e afferrano le cime dell’albero maestro della goletta di 70 piedi chiamata Spirit of Oysterhaven
“Ok, sbrighiamoci”, urla Shauna Gillan, primo ufficiale e comandante in seconda. “Omran, Hamza, issate la vela”, ordina dalla sua postazione in plancia.
“Issiamo le vele”, è la risposta di Hamza Alsayed Hassen, 17 anni, e Oisín Ryan, 16, i volti segnati dalla fatica nell’atto di alzare la vela.
I due giovani azionano il verricello e legano la corda. Dopodiché la barca ruota sul suo asse, le vele si riempiono e la barca comincia a muoversi in avanti, lasciando la sicurezza del porto e scivolando nell’Oceano Atlantico. “Mi piace avere delle responsabilità”, dice Hamza. “Bisogna lavorare insieme, altrimenti non si arriva dove si vuole arrivare”.
“Puoi vedere una forte mentalità di gruppo formarsi sin dal primo giorno”
È uno dei 10 ragazzi, cinque siriani e cinque irlandesi, tutti di età compresa tra i 15 e i 17 anni, che stanno imparando ad andare in barca a vela, in condizioni estreme lungo la costa irlandese. Nell’arco di una settimana, impareranno a manovrare il timone, usare il verricello, issare le vele e a riavvolgere correttamente le corde, il tutto lavorando insieme per rimanere a galla.
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Il corso è parte di un progetto di integrazione per i rifugiati chiamato Safe Haven Ireland, lanciato nel 2015, che insegna ai giovani rifugiati e ai ragazzi irlandesi come andare in barca a vela, con la Spirit of Oysterhaven, la più grande nave scuola d’Irlanda.
È un modo nuovo per unire giovani dai background più diversi; un’idea del primo ufficiale Gillan, avvocato per i diritti umani quando non è intenta a navigare.
“Navigare insieme è un modo ideale per favorire i legami tra comunità diverse,” afferma. “È il livellatore definitivo. Tutti si trovano catapultati in un ambiente non familiare – le esperienze vissute prima di salire a bordo perdono importanza. Si instaura una forte mentalità di gruppo sin dal primo giorno”.
Omran Al Awihi, 15 anni, è arrivato in Irlanda a marzo. Come gli altri siriani a bordo è arrivato grazie al programma di ricollocamento dell’Unione Europea, che prevede il trasferimento in altri Stati dell’Unione Europea di richiedenti asilo arrivati in Grecia e in Italia. Dopo un anno e due mesi in Grecia, Omran è arrivato in Irlanda a marzo, stabilendosi insieme ad altri siriani in una città nell’ovest del Paese.
“Sapevo che l’Irlanda era un’isola nel bel mezzo del mare,” dice, anche se non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in barca a vela intorno alle sue coste.
Nei pochi giorni di vita in barca, Omran ha preso il controllo del timone e ha imparato a usare il verricello, a issare le vele e a ritirare l’ancora assicurandosi che non rimanga incastrata nelle molte alghe che sono ovunque nelle acque al largo della Contea di Cork nel sud-est dell’Irlanda. L’unica cosa che non gli piace è fare le pulizie: “Sono il più giovane della mia famiglia e non sono abituato a lavare i piatti”, racconta.
Questa settimana di navigazione non gli ha lasciato alcun dubbio su quella che sarà la sua carriera: “Voglio fare il marinaio,” dice ridendo.
Ma l’obiettivo principale è divertirsi. “A volte anche troppo,” racconta Kayli Smyth, 17 anni, una delle ragazze irlandesi.
“Ci divertiamo in continuazione” dice, utilizzando il termine craic che significa insieme divertimento, conversazione e buona compagnia. “Troppo craic a volte!”
La notte scorsa i ragazzi siriani hanno lasciato il portello aperto, dice, il che ha permesso alla pioggia di entrare durante la notte, alla fine le ragazze erano totalmente bagnate. “Eravamo zuppe!”
Sono rimasti amici e non vedono l’ora di ritrovarsi nel centro giovanile locale al settimana seguente. Sembra una decisione naturale ora, ma solo pochi mesi fa “molte persone non vedevano di buon occhio i siriani,” dice Diarmaid Geever, 16 anni, una delle ragazze irlandesi.
“Ma ora hanno capito meglio. In linea di massima, la gente è molto altruista e vede che i rifugiati siriani sono esattamente come noi. Se ci mettessi in uno spazio ristretto, con tutte le nostre diverse personalità, vedresti che andremmo tutti d’accordo. A loro piace la musica e i giochi proprio come piacciono a noi. Ci sono delle differenze, ma molto meno di quanto si possa pensare”.
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