La gran parte dello staff dell’UNHCR lavora sul campo. Eujin Byun, addetta alle comunicazioni, si trova in Sud Sudan, uno dei paesi meno sicuri al mondo per gli operatori umanitari.
Eujin viene dalla Corea e lavora come responsabile delle comunicazioni dell’UNHCR in Sud Sudan. Nel 2017, gli operatori umanitari sono stati l’obiettivo di 46 attacchi nel paese, tra cui sparatorie, rapimenti e aggressioni. Nonostante i rischi, Eujin ha recentemente deciso di prolungare la sua permanenza. Qui ci spiega perché.
‘Negli ultimi due anni ho lavorato in Sud Sudan, uno dei luoghi più pericolosi al mondo per gli operatori umanitari. Dall’inizio del conflitto nel dicembre 2013, 93 operatori umanitari sono stati uccisi. A maggio di quest’anno sessanta operatori umanitari sono stati arrestati; di questi, solo 28 sono stati rilasciati finora.
Queste notizie mi fanno rabbrividire –potrei essere io al loro posto. Ma questa è la realtà della vita degli operatori umanitari in una delle aree più conflittuali al mondo.
Come operatori umanitari, siamo sempre pronti per le emergenze – tutti abbiamo una borsa piena di articoli di base come biancheria intima, caricatore del telefono, una copia del passaporto, contanti, spazzolino e dentifricio.
“Essere un operatore umanitario donna è ancora più difficile a volte”.
Se sembra difficile essere un operatore umanitario nel Sud Sudan, essere un operatore umanitario donna è ancora più difficile a volte. Eppure, sono ancora qui, così come 85 colleghe dell’UNHCR che lavorano in tutto il paese.
La paura mi accompagna da quando ho scelto di lavorare nella provincia di Maban, nel Sud Sudan, più di due anni fa. Da quando delle operatrici umanitarie sono state violentate a Juba nel 2016, la paura è ulteriormente aumentata per molte colleghe.
Eppure, nonostante le mie paure, ho scelto di rimanere nel Sud Sudan per altri due anni. Perché?
Nel Sud Sudan ho assistito sia al meglio che al peggio dell’umanità. Ho visitato comunità in cui le persone non hanno nulla, eppure hanno sempre un grande sorriso. Mi fa capire cosa è importante nella vita e le tante piccole cose che diamo per scontate – famiglia, amici, educazione, elettricità e persino camminare fuori la sera.
Ma sono soprattutto i miei colleghi, con i quali condivido ogni giornata, il motivo che mi ha spinto a rimanere qui. C’è un enorme senso di solidarietà tra noi, e ci rendiamo conto del fatto che vivendo e lavorando sotto la costante minaccia del pericolo le nostre vite sono legate insieme.
Questo è più di un semplice lavoro. L’orrore che vediamo colpisce profondamente tutti noi, ma lavorando insieme la tristezza e la rabbia possono trasformarsi in qualcosa di produttivo.
Tra colleghe, condividiamo le nostre storie – sulla nostra famiglia, sui nostri figli e anche sulle lotte e sfide quotidiane che affrontiamo come donne, come operatrici umanitarie e come esseri umani.
Ho sentito innumerevoli storie da colleghe sud sudanesi, per lo più madri che devono vivere lontano dai figli – molte sono state costrette a trasferire la propria famiglia fuori dal Sud Sudan a causa di rischi per la loro sicurezza. Spesso mi dicono che la cosa più difficile non è la paura per la propria vita, ma come si sentono quando i figli chiedono: “Quando potrò vederti di nuovo?”.
“Lavorando insieme, la tristezza e la rabbia possono trasformarsi in qualcosa di produttivo”.
Di recente, il Vice Alto Commissario dell’UNHCR Kelly T. Clements ha visitato il Sud Sudan. È stato stimolante incontrare la donna con la carica più alta all’interno dell’UNHCR.
Si è seduta con le donne rifugiate e sfollate e le ha ascoltate parlare di rischi per la sicurezza e di violenza sessuale, di genere e domestica. Ha lodato la capacità di recupero che hanno dimostrato e le ha incoraggiate a collaborare per proteggersi a vicenda.
Ha anche trovato il tempo di parlare con noi colleghe, di darci consigli sulla carriera e di farci sapere che lei è lì per noi se abbiamo delle domande. Molte operatrici umanitarie hanno bisogno di mentori e modelli, ed il fatto che la dirigente di grado più alto sia disponibile ad ascoltare le nostre sfide e dare consigli può avere un enorme impatto sulle nostre carriere.
L’UNHCR opera in oltre 450 luoghi sul campo in tutto il mondo. Nei paesi in cui il conflitto è in corso, le donne rappresentano la minoranza nello staff. “Abbiamo bisogno di più donne in luoghi come il Sud Sudan, per essere un’organizzazione ancora più forte per le persone di cui ci occupiamo”, ha detto Clements.
È scioccante e profondamente triste sentire che i miei colleghi sono tenuti in ostaggio o sono stati uccisi. Ma questo non mi impedirà di continuare ad aiutare i rifugiati e gli sfollati interni a ricostruire le loro case e le loro vite. Nonostante il pericolo, ora il mio posto è in Sud Sudan’.
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati lavora in 128 Paesi aiutando uomini, donne e bambini che sono dovuti fuggire dalle loro case a causa di guerre e persecuzioni. Il nostro quartier generale è a Ginevra, ma l’87 per cento dei nostri oltre 15.000 dipendenti lavora sul campo, aiutando i rifugiati. Questo articolo fa parte di una serie che mette in evidenza il nostro staff e il loro lavoro.
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