Negli ultimi sei anni, le lunghe gambe di Guled lo hanno portato in ogni angolo della sua patria d’adozione, l’Egitto. Le maratone e le altre gare di resistenza a cui ha partecipato in tutto il paese hanno fatto crescere sempre di più la sua preziosa collezione di medaglie.
“Ogni volta che corro mi sento libero, come se fossi in un mondo tutto mio”, ha detto spiegando la sua passione per lo sport. “Ed è per questo che correre è così importante per me; [mi aiuta] a superare la difficoltà e lo stress che vivo come rifugiato”.
Questa non è la prima volta che Guled corre. Nel 2007, è fuggito dal suo paese, la Somalia, temendo per la sua vita dopo che gruppi militari hanno ucciso suo padre e hanno continuato a diffondere il terrore per le strade, parte di un conflitto civile che dura da decenni nel paese.
Guled è fuggito dalla Somalia da solo con l’aiuto di un amico del suo defunto padre, che fece in modo che i trafficanti lo portassero oltre confine e in Egitto. Quando è arrivato al Cairo, ha cercato rifugio nella comunità somala nel distretto di Nasr City. Ha iniziato ad insegnare inglese ai bambini somali nelle loro case.
[huge_it_slider id=”37 “]
“Stabilirsi in un nuovo paese non è facile”, ha detto, riflettendo sui suoi primi anni in Egitto. “All’inizio era molto difficile; sfide con la lingua, sfide con le persone, non sai di chi ti puoi fidare, chi puoi considerare amico… quindi è stata una sfida, sì”.
L’Egitto ospita attualmente oltre 244.000 rifugiati e richiedenti asilo registrati, e i somali sono al settimo posto tra le comunità più popolose nel paese.
Nel 2012, quando lo sguardo del mondo era sulle Olimpiadi a Londra, l’attenzione di Guled è stata catturata da un atleta in particolare – il corridore britannico Mo Farah, che da bambino era stato costretto a fuggire dal Somaliland.
Il campione olimpico ha ispirato Guled a unirsi a un gruppo di corsa locale al Cairo, una mossa che avrebbe imprevedibilmente trasformato la sua vita.
“La corsa mi ha portato fuori da casa mia, dal mio quartiere, per la prima volta. Prima non conoscevo gli altri quartieri del Cairo”, ha ricordato.
Oggi è orgoglioso di partecipare a maratone, decathlon e gare ad ostacoli in diverse città, tra cui Alessandria, Sharm El Sheikh, Gouna, Aswan, Ismailia e Fayoum. Si è anche fatto molti amici all’interno della comunità di corridori in Egitto.
Ma la corsa non è l’unica area in cui Guled ha raggiunto il successo. Nel 2013 ha iniziato a lavorare come interprete per l’UNHCR – l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati – in Egitto, fornendo servizi di interpretazione in inglese e somalo. Grazie al suo impegno, in seguito è diventato il coordinatore degli interpreti, e ora supervisiona più di 20 persone.
Ha completato con successo la formazione del CCIP (Cairo Community Interpreter Project), progettata per gli interpreti che lavorano nei campi per rifugiati e migranti. È amministrato dal Centro per gli studi sulla migrazione e sui rifugiati (CMRS) presso l’Università americana del Cairo.
UNHCR Egitto offre ai suoi interpreti rifugiati una formazione del CCIP su base annuale per sviluppare le loro capacità di interpretariato. Gli interpreti che superano con successo la formazione ricevono un certificato firmato congiuntamente da CMRS e UNHCR.
Nonostante i suoi numerosi successi in Egitto, la Somalia è sempre nella mente di Guled. Parla dei membri della famiglia che vorrebbe rincontrare e dei luoghi che gli mancano. Per lui, questa è la parte più difficile dell’essere un rifugiato.
“Mi manca la cura e l’amore dei miei genitori”, ha detto. “Mi fa commuovere e mi fa male non poter incontrare la mia famiglia e non sapere quando li vedrò di nuovo”.
Condividi su Facebook Condividi su Twitter