Quando una banda criminale ha preso di mira i figli adolescenti di Ana e Paula*, la famiglia è stata costretta a fuggire per salvarsi.
“Hanno detto di mia figlia, ‘presto sarà pesata in chili'”, racconta Paula, spiegando che la frase viene usata dai membri delle bande per riferirsi alle ragazze che ritengono pronte per lo sfruttamento sessuale. “Hanno detto, ‘la prenderemo’”.
Paula viveva con la sua compagna, Ana, anche lei madre. Giorni dopo, la banda ha rivolto la sua attenzione al figlio di Ana, Oscar, che stava per compiere 13 anni.
“Un membro della banda ha detto: ‘Paula, sto andando a spacciare droga qui nell’isolato… avrò bisogno del tuo figliastro'”, ha detto. “‘Tornerò domani”.
La banda, conosciuta come una mara, ha iniziato la sua attività criminale a Los Angeles negli anni ’80 e da allora opera in due continenti, regnando con la caratteristica violenza nel quartiere di Ana e Paula – praticando l’estorsione, gestendo giri di droga e prostituzione e reclutando membri con la forza.
Ana non avrebbe mai consegnato suo figlio alle bande, ma sapeva cosa avrebbe significato questo rifiuto per lei e Paula. “Sapevo che ci avrebbero ucciso entrambe”, ha detto.
La loro unica opzione era la fuga. Paula ha venduto il suo unico bene, una motocicletta. La coppia ha raccolto i certificati di nascita dei loro figli, e la famiglia è uscita di casa con un piano per cercare sicurezza all’estero.
In tutto il mondo, molte persone che sono LGBTIQ+ – lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali (nate con caratteristiche sessuali che non rientrano necessariamente nelle nozioni binarie di maschio o femmina), o queer – sono costrette a fuggire per salvarsi. Molte fuggono dalle persecuzioni a causa del loro genere, della loro sessualità o di quella percepita. Altre persone, come Paula, 32 anni, e Ana, 40 anni, sono intrappolate nella violenza nei loro paesi d’origine, ma affrontano anche particolari difficoltà sia a casa che dopo la fuga a causa della loro identità sessuale o di genere.
La loro situazione è condivisa da un numero crescente di persone in Honduras, Guatemala ed El Salvador, dove la brutale violenza delle bande – esacerbata dalla pandemia di COVID-19 e dai disastri naturali – ha reso la loro vita quasi impossibile.
Il viaggio via terra per cercare sicurezza è pieno di pericoli. I richiedenti asilo affrontano rapine, aggressioni sessuali e rapimenti, e alcuni annegano cercando di attraversare i fiumi di confine o muoiono in incidenti stradali. La famiglia di Paula e Ana è stata derubata in Guatemala. Senza poter comprare i biglietti dell’autobus, hanno camminato per tre giorni, raggiungendo finalmente il Messico meridionale.
“I piedi di Paula erano coperti di tagli e sanguinavano dopo aver camminato attraverso il Guatemala”, ha detto Ana.
In Messico, hanno dormito per strada e in un rifugio – dove Paula è stata avvicinata da un uomo che voleva sapere se era un uomo o una donna. Infine, pochi giorni dopo quell’incidente, una famiglia messicana in una comunità rurale ha accolto la famiglia, offrendo loro acqua e uno stufato mole fatto con l’iguana.
“Sono persone molto buone. Non hanno molto, e ci hanno aperto la loro casa”, ha detto Paula. Lei, Ana e i loro figli sono rimasti nella casa con il tetto di latta e una sola stanza negli ultimi tre mesi.
Dopo un calo del tasso di richieste d’asilo in Messico nel 2020 a causa della pandemia di COVID-19, il numero di persone in fuga dall’America centrale – principalmente El Salvador, Guatemala e Honduras – sta aumentando di nuovo. Nei primi quattro mesi del 2021, la Commissione messicana per l’assistenza ai rifugiati, COMAR, ha registrato oltre 30.000 nuove richieste di asilo, quasi un terzo in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Nel mese di aprile 2021, si è registrato un massimo storico per le richieste di asilo mensili, oltre 9.100.
Il Messico riconosce il genere come motivo a sè stante per cui una persona può chiedere asilo. La COMAR riconosce molto spesso coloro che sono fuggiti a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere, che hanno un’alta possibilità di ricevere protezione.
La fuga per i richiedenti asilo LGBTIQ+ spesso segue una vita segnata da violenze, molestie e discriminazioni nei loro paesi d’origine, ha detto Sofia Cardona, funzionaria per la protezione dell’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, in Messico.
“In Honduras, El Salvador e Guatemala, le persone LGBTIQ+ affrontano omofobia e transfobia generalizzate, che possono provenire dalle chiese, dalle autorità e in particolare dalle loro famiglie”, ha detto. “Questa esperienza di discriminazione cumulativa può rendere la loro vita intollerabile e seguirle nell’esilio”.
Ana ha ricordato l’educazione violenta ricevuta in Honduras, dove è stata picchiata da sua madre per aver baciato una ragazza ed espulsa da scuola. Più tardi, è stata violentata da un fidanzato e costretta a un matrimonio che non voleva, con un altro uomo.
Paula ha rifiutato di conformarsi ai ruoli di genere standard, nonostante la pressione della sua famiglia, ha detto.
Respinte dalle loro famiglie e sottoposte a violenza e abusi a causa della loro sessualità o del loro aspetto, le persone LGBTIQ+ sono spesso spinte ai margini della società, ha detto Cardona.
Ed è lì che Ana e Paula si sono incontrate, essendo state costrette a una lotta quotidiana per la sopravvivenza.
“Non avevamo niente – niente soldi, niente per cucinare, ma eravamo insieme”, ha detto Ana.
Ana e Paula hanno presentato una richiesta di asilo in Messico e stanno pianificando il futuro. L’UNHCR le ha sostenute, spiegando loro i loro diritti secondo la legge internazionale e aiutandole a determinare ciò di cui avranno bisogno se dovessero rimanere in Messico – incluso un riparo, cure mediche, consulenza e assistenza in denaro, nonché aiuto per trovare scuole per i loro figli.
La famiglia condivide l’aiuto che riceve dall’UNHCR con i loro ospiti messicani. Sono contenti per ora di vivere in pace in campagna, con un cortile ombreggiato da un albero di mango, con alcune galline, un’anatra e un maiale.
“Ci piace qui. Questo villaggio è sano, i nostri figli possono giocare, nessuno li disturba. Puoi lasciare la porta aperta… è un posto migliore per crescere i nostri figli”, ha detto Ana.
Ana e Paula sperano di sposarsi a Città del Messico, uno dei 18 dei 31 stati del Messico dove le coppie dello stesso sesso possono sposarsi. Sono fiduciose per il futuro.
“I nostri figli dicono ‘abbiamo due madri’. Non fanno discriminazioni”, ha detto Ana.
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