La prima volta che uomini armati hanno attaccato il villaggio di Maizala Saidi nel distretto di Nangade, nella provincia di Cabo Delgado, nel Mozambico settentrionale, la 39enne è fuggita da casa e si è nascosta nella boscaglia con la sua famiglia per giorni, in attesa che se ne andassero.
Quando sono tornati due mesi fa, hanno ucciso diverse persone e hanno saccheggiato e bruciato le case, compresa quella di Maizala. Lei questa volta ha camminato per ore con i suoi sei figli e l’anziana madre fino a trovare sicurezza nell’insediamento di Lianda, nel distretto di Mueda.
La storia di Maizala non è insolita nel nord del Mozambico, dove negli ultimi sette anni i gruppi armati non statali (NSAG) hanno condotto insurrezioni uccidendo civili, radendo al suolo villaggi, reclutando con la forza ragazzi e giovani uomini e rapendo donne e ragazze. Al culmine del conflitto, tra il 2021 e il 2022, oltre 1 milione di persone erano sfollate.
Sebbene molti siano tornati a casa, circa 800.000 persone vivono ancora sfollate, tra cui oltre 100.000 costrette a fuggire da una nuova ondata di violenza nei distretti meridionali di Cabo Delgado a febbraio. L’UNHCR e i suoi partner, insieme al governo, devono ora fare un bilancio delle esigenze dei nuovi sfollati e quelli di lungo periodo, costretti a rimanere in insediamenti sovraffollati, e cercando al contempo di supportare coloro che stanno tornando in zone più sicure della provincia.
Da quando sono arrivati a Lianda, Maizala e la sua famiglia vivono in un rifugio comune con oltre 200 altre persone anch’esse sfollate. L’insediamento ospita circa 10.000 persone provenienti dai distretti di Mueda, Nangade, Palma, Macomia e Muidumbe, e altre arrivano dopo ogni nuovo attacco.
“Ho bisogno di un piccolo pezzo di terra e di alcuni attrezzi per coltivare qui a Lianda, in modo da procurare il cibo per i miei figli e a mia madre”, dice Maizala. “A casa, lo facevo e siamo sopravvissuti, ma qui non abbiamo nulla. Vorrei anche lasciare il centro di transito e avere una casa tutta mia”.
L’UNHCR e l’organizzazione partner, Solidarités International, hanno costruito 915 rifugi a Lianda dal 2021 e altri 100 verranno costruiti nel 2024 in collaborazione con le autorità, ma circa 1.800 famiglie non hanno ancora un alloggio. Come Maizala, sono attualmente ospitate in centri di transito o in strutture di fortuna, esposte al vento, alla pioggia, al caldo e agli insetti.
Fornire assistenza a lungo termine agli sfollati di Lianda e degli altri insediamenti di Cabo Delgado è una sfida significativa a fronte di una risposta umanitaria cronicamente sottofinanziata. Finora è stato finanziato solo il 17% dei 49,3 milioni di dollari di cui l’UNHCR ha bisogno nel 2024.
“Dobbiamo andare oltre, guardare al di là degli aiuti umanitari e rafforzare gli investimenti per lo sviluppo nel Paese, per creare le condizioni per una pace duratura e un futuro sostenibile per gli sfollati e per chi li ospita”, ha dichiarato Filippo Grandi durante la sua ultima visita in Mozambico. “L’ONU deve continuare a sostenere gli sforzi del governo per soddisfare i bisogni a breve e lungo termine della popolazione, sostenendo al contempo la necessità di un ulteriore sostegno al Mozambico”.
Le autorità e i leader della comunità stanno lavorando a stretto contatto per trasformare lentamente Lianda da un insediamento in un villaggio integrato nelle comunità circostanti. Stanno inoltre collaborando con le agenzie umanitarie, tra cui l’UNHCR, per migliorare le opportunità economiche e di sostentamento, come la formazione per l’apertura di piccole imprese o lo sviluppo della permacultura, nella maggior parte degli insediamenti a Cabo Delgado.
Nella città di Chiure, che ha accolto la maggior parte dei nuovi sfollati dopo gli attacchi di febbraio, la maggior parte degli arrivi è costituita da donne e bambini che hanno lasciato tutto quando i loro villaggi sono stati attaccati. “La mia priorità è stata quella di prendere i miei tre figli e fuggire. Tutti quelli del villaggio sono partiti”, spiega Elvira, 38 anni, che ha trovato rifugio in un insediamento temporaneo. “A questo punto non voglio più tornarci. Le persone che conoscevo sono state uccise, alcune sono state decapitate. Potrei decidere di ricominciare la mia vita da un’altra parte”.
L’UNHCR ha fornito materassini, coperte, zanzariere, teli, set da cucina e altri generi di prima necessità a oltre 900 famiglie a Chiure, e altre distribuzioni sono previste nel prossimo futuro. Nelle prossime settimane l’agenzia distribuirà anche kit non alimentari a 1.500 famiglie sfollate a Namapa, nella vicina provincia di Nampula.
Nonostante i recenti attacchi, la sicurezza è migliorata in alcune aree. Dopo l’intervento militare delle forze mozambicane e alleate, iniziato nel luglio 2021, e gli sforzi del governo per iniziare a ristabilire i servizi, oltre 632.000 persone sono tornate alle loro case nelle province di Cabo Delgado, Niassa e Nampula.
Nella città costiera di Mocímboa da Praia, che è stata pesantemente colpita dal conflitto nel 2017 e di nuovo nel 2020, la vita sta gradualmente tornando alla normalità da quando le forze mozambicane e alleate hanno ripreso il controllo nell’agosto 2021. Alcune scuole, stazioni di polizia e altri servizi sono stati riaperti e circa 144.000 dei 170.000 abitanti originari della città sono tornati a casa e stanno provando a ricostruire le loro vite.
Più a nord, a Palma, che ha subito un brutale attacco nel marzo 2021, la maggior parte dei 70.000 abitanti della città è tornata, anche se molti servizi sono ancora carenti.
L’accesso ai pochi servizi disponibili è difficile per le persone sfollate che hanno perso i documenti distrutti durante gli attacchi. L’UNHCR ha istituito camper mobili per recuperare la documentazione civile, insieme al governo e al partner locale Università Cattolica del Mozambico, per rilasciare certificati di nascita e documenti di identità nazionali che aiutano le persone a riacquistare la propria identità legale. Grazie ai camper, circa 27.000 persone hanno ricevuto nuovi documenti dal 2021.
“Le persone che hanno fatto ritorno nelle città d’origine hanno bisogno di molto aiuto”, dice Gracilio Tiago, 49 anni, insegnante in una delle scuole della città, sua moglie è stata uccisa durante l’attacco del 2021. “Molte case sono state distrutte e molte famiglie non hanno un riparo adeguato. C’è anche un’enorme scarsità di acqua potabile, mancanza di assistenza medica, cibo, lavoro”.
Da quando è tornato a Palma nell’agosto del 2022, Gracilio trova la sua speranza con i giovani a cui insegna. Dico ai miei studenti che devono studiare perché senza istruzione non si protegge il proprio futuro”.
“In una guerra come quella che abbiamo affrontato, molte cose vanno perse. Noi non vogliamo la guerra, vogliamo la pace”.
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