Per le squadre femminili, la competizione sportiva è un modo per non pensare alla vita nel campo per rifugiati in Congo.
“Quando giochiamo, mi dimentico di essere in un campo per rifugiati. Penso di essere in un altro paese. Adoro il calcio!”
Emerance, 16 anni, è una rifugiata del Burundi e il capitano di una squadra femminile di calcio. Le sue compagne di squadra la chiamano Neymar, come la stella del calcio brasiliano.
Oggi è un giorno speciale. La sua squadra, le Morning Stars, giocherà una partita amichevole contro un’altra squadra femminile, all’interno del campo rifugiati di Lusenda.
Emerance è sicura di vincere. “Credo nella nostra squadra. Siamo le migliori a Lusenda”.
Prima della partita, Emerance deve affrontare un’altra estenuante giornata: alzarsi presto, preparare la colazione e il fratellino per la scuola e infine andare lei stessa a scuola nel villaggio vicino.
Emerance dice che le piace studiare inglese e francese, nonostante la scuola, che ha ricevuto i finanziamenti dell’UNHCR per accogliere i rifugiati, sia sovraffollata di studenti. Quando ritorna a casa, cucina di nuovo per i suoi fratelli, va a prendere l’acqua alla pompa dell’abitazione dei suoi genitori e aiuta in altre faccende domestiche.
Quando arriva il momento di giocare, nel tardo pomeriggio, le ragazze si dirigono verso il campo da calcio, una zona irregolare di terra brulla. La squadra di Emerance indossa la maglia rossa, le avversarie quella verde. Emerance e la maggior parte delle sue compagne giocano a piedi nudi.
L’UNHCR sostiene i rifugiati che vivono a Lusenda e in altre località fornendo le attrezzature sportive di base, assicurandosi che si possano allestire i campi da gioco e organizzando le partite. I fondi a sostegno di queste attività, fondamentali per i giovani, sono tuttavia insufficienti.
L’UNHCR ha stretto una partnership con la radio francese Radio France Internationale per fornire attrezzature aggiuntive e per parlare al mondo di queste rifugiate e del loro amore per il calcio.
Le squadre giocano strenuamente sotto la pioggia battente, che rende il campo scivoloso e il gioco difficile. Emerance e la sua squadra hanno più possesso palla, ma il risultato finale è zero a zero.
“Sono delle ottime giocatrici” afferma l’allenatore Eric Itangishaka, lui stesso un rifugiato e un volontario. “Vanno sostenute”.
“Giochiamo bene insieme” afferma Spéciose, attaccante di 15 anni. “Tutti conoscono il proprio ruolo. E siamo anche amiche. A scuola ci aiutiamo molto”.
Giocare a calcio aiuta Emerance a convivere con ricordi difficili. Aveva 14 anni quando lasciò il Burundi. “Era notte. Ho sentito tutti quegli spari. Avevo paura che un proiettile vagante mi colpisse e mi uccidesse. Abbiamo iniziato a correre, tutta la famiglia, mancava solo mio padre. Avevo paura per lui, ma ci ha raggiunto più tardi”.
Ancora non sa niente di sua sorella maggiore, che viveva con la sua famiglia in un’altra casa e di cui non si hanno più avuto notizie. Potrebbe essere fuggita anche lei.
“Non è facile, non è bello essere rifugiati” dice. “Ma è successo e dobbiamo conviverci. Giocare mi aiuta a pensare al futuro”.
Quali sono le cose che considera più importanti per il suo futuro? Emerance ci pensa qualche istante. “La prima cosa è andare a scuola, la seconda vivere in una casa decente, la terza avere assistenza medica quando ne ho bisogno, la quarta mangiare bene, la quinta diventare una grande calciatrice e un giorno giocare negli Stati Uniti”.
E un bel paio di scarpe da calcio non guasterebbero.
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