Di Veronika Fajth
Sorseggiando un caffè in un bar di Budapest con indosso una giacca elegante, Dariush Rezai somiglia molto agli altri giovani ventenni sicuri di sé nella stanza.
Come molti di loro, parla in perfetto ungherese delle partite alla X-Box e della passione per la chitarra, e del proposito di iscriversi all’università. Tuttavia, se si osservano con attenzione i suoi lineamenti asiatici, si capisce che non è ungherese. Ascoltatelo un po’ di più e capirete che la vita di Dariush non ha quasi nulla in comune con quella della maggior parte dei giovani residenti a Budapest, o addirittura dei più giovani europei.
“Adesso vi racconterò la mia storia, dopo di che non voglio più guardare indietro,” dice Dariush. “Voglio concentrarmi sul mio futuro.”
Il desiderio di Dariush di dimenticare il passato è comprensibile. Nato in Afghanistan, aveva 15 anni quando è arrivato da solo in Ungheria. Scava nel suo passato e sceglie con cura le parole, mentre cerca di far luce sull’angoscia dei bambini rifugiati.
Nel 2013, metà degli sfollati nel mondo avevano meno di 18 anni. A livello internazionale, 25.300 bambini non accompagnati e separati hanno fatto domanda di asilo, e negli ultimi anni hanno rappresentato il 4% di tutte le richieste di asilo. Ogni anno, fino a 200 bambini non accompagnati chiedono asilo in Ungheria. Viaggiano soli, spesso provengono da zone di guerra. Qualcuno scappa spontaneamente: altri vengono mandati all’estero dalle loro famiglie.
Il lungo viaggio di Dariush è stato tipico. Nativo afghano della provincia di Ghazni, Dariush aveva 12 anni quando un uomo armato ha ucciso suo padre, di etnia Hazara. Per fuggire dalla sorte del padre, Dariush e sua madre sono fuggiti in Iran con l’aiuto di trafficanti. Hanno trovato casa a Tehran, ma poche opportunità.
Dariush ben presto ha realizzato che se fosse rimasto, la sua sola prospettiva per il futuro sarebbe stata quella di lavorare insieme a sua madre, 16 ore al giorno, in una fabbrica di scarpe. Hanno capito che la sola speranza per Dariush era cercare una vita altrove. Dopo aver fatto risparmi ancora una volta per pagare un trafficante, Dariush è partito.
La sua destinazione era “qualche posto in Europa”, e ad ogni passo terrificante lungo la strada nutriva ripensamenti. “Ogni giorno rimpiangi di essere partito. La tua sorte è completamente nelle mani dei trafficanti. Loro possono farti qualsiasi cosa” racconta. Questa Odissea di sei mesi si è conclusa quando un poliziotto ha scoperto Dariush mentre stava cercando di entrare in Ungheria. L’ha mandato al centro rifugiati di Bicske, dove è cominciato il suo vero viaggio.
Dopo che il governo ungherese gli ha garantito la protezione legale simile allo stato di rifugiato, Dariush ha trovato una sistemazione in un’istituzione a Fót, uno dei due centri specializzati in Ungheria che danno ospitalità e istruzione ai bambini non accompagnati. Qui Dariush ha combattuto la solitudine, imparato l’ungherese e conseguito il diploma alla scuola superiore. La sua transizione a una vita indipendente è stata aiutata dal supporto finanziario statale, che lui aveva diritto di ricevere fino ai 24 anni.
Ma questo sostegno non viene dato a tutti i rifugiati tra i 18 e i 24 anni. I giovani che non hanno ricevuto lo stato di rifugiati da bambini non hanno diritto a questo aiuto, che è una grave lacuna nel Sistema di accoglienza ungherese, dichiara l’UNHCR Protection Associate Katinka Huszar.
Secondo Huszár, la soglia dei 18 anni è “spartiacque magico” nel trattamento dei richiedenti asilo che ignora il fatto che molti giovani sono ancora vulnerabili, nonostante siano legalmente adulti. Un altro problema in Ungheria è che il sistema di accoglienza si basa sul settore civile per i suoi servizi più importanti. “Diverse funzioni fondamentali come il supporto psichiatrico, giuridico ed educativo sono coperte da piccole ONG locali o fondazioni” ha detto Huszár.”Queste lacune rendono lo stato attuale del sistema insostenibile”.
Dariush ha già compiuto dei passi verso la carriera che vorrebbe avere nel settore del turismo per aiutare gli altri rifugiati e richiedenti asilo come interprete e guida in giro per Budapest. Dariush partecipa anche a seminari educativi sui rifugiati e – con la sua amata chitarra– spesso intrattiene i bambini nel centro di Fót, la sua alma mater. In questi giorni sta aspettando di sapere se gli sarà permesso di rimanere in Ungheria come rifugiato.
Dopo tutto quello che ha passato, si rifiuta di disperarsi. “Non ho mai rinunciato” dice. “Faccio del mio meglio. Ho sempre fatto del mio meglio.”
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