Questa città è disseminata di cicatrici. Molte sono evidenti, altre sono invisibili.
Ma nel caldo sole mattutino nel distretto di Aljanabandia, a Gao, una città di poco più di 100.000 abitanti, si possono sentire le risate di 20 donne, in fila per attingere acqua per il pranzo.
Il pozzo è stato installato nel 2018 con il contributo del Fondo fiduciario di emergenza dell’Unione Europea per l’Africa gestito dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Si tratta di uno dei due pozzi che sono stati scavati l’anno scorso, ad un costo di 14,4 milioni di CFA (21.500 euro).
Per gli abitanti di Gao, la vita è cambiata il giorno in cui gruppi armati di estremisti hanno preso d’assalto la loro città nel 2012, costringendo circa 80.000 persone a fuggire con le loro famiglie, alcune verso altre parti del Mali, altre verso i paesi limitrofi. Per coloro che hanno fatto ritorno a Gao, il pozzo è stato vitale.
“Il pozzo ha fatto un’enorme differenza”, ha dichiarato Mariam Souleye Maiga. Fuggita con i suoi quattro figli in Niger, ha fatto ritorno a Gao solo 16 mesi dopo, quando i combattenti armati sono stati cacciati.
“Prima, le persone senza rubinetto dovevano alzarsi nel cuore della notte per andare a prendere l’acqua. Era estenuante, soprattutto in estate, quando l’acqua è preziosa.”
Nel 2012, Mariam Abu Bakr è fuggita con la sua famiglia in un campo di rifugiati in Niger, dove ha trascorso 20 mesi. Ha deciso di tornare a casa dopo che i combattenti armati erano stati cacciati dalla città.
“Questa è casa mia. Dovevo tornare”, dice.
Come lei, altri rifugiati hanno un forte desiderio – e la determinazione – di fare ritorno a casa.
In fondo alla strada, dopo il pozzo comunale, c’è un’associazione chiamata An End to Running. La sua stessa esistenza testimonia il cambiamento avvenuto a Gao. Gestita da Mariam Souleye Maiga, l’associazione è stata creata nel 2016 e conta attualmente 47 membri, tutti ex rifugiati, sfollati interni o migranti economici, che hanno iniziato a lavorare con l’aiuto dell’UNHCR e di suoi partner come Terre Sans Frontières.
Ogni membro contribuisce settimanalmente all’acquisto di ingredienti per preparare piatti di couscous e piatti a base di cereali. Quindi vendono i loro prodotti, e ogni nove mesi dividono il ricavato.
“Ci siamo riuniti e abbiamo deciso che non volevamo continuare a chiedere l’elemosina”, spiega, “e questa associazione ci aiuta a essere indipendenti.
A ridosso del fiume Niger c’è un orto magnifico. Anche questo è il frutto del lavoro di 18 donne locali, a cui nel 2007 la città ha dato in concessione un ettaro di terreno. Venivano ogni giorno, lo ripulivano dalle erbacce, lo innaffiavano e poi vendevano carote, pomodori, lattuga e altre verdure che producevano.
L’associazione andava a gonfie vele. Poi, nel 2012, la città è stata attaccata, e sei donne sono dovute fuggire con le loro famiglie. Le altre sono rimaste, determinate a non rinunciare a quel gioiello.
“È stato molto difficile, sotto il controllo degli islamisti”, racconta Boshira Touré, presidente dell’associazione. “Siamo state maltrattate, abbiamo dovuto coprirci completamente. Ma non abbiamo mai abbandonato il nostro giardino. Abbiamo continuato a prendercene cura.”
In seguito, i combattenti sono stati cacciati, le donne che erano fuggite sono tornate e nel 2018 l’associazione ha ricevuto una sovvenzione UE-UNHCR di 1 milione di CFA (1.500 euro) per acquistare semi, attrezzi e un motore più potente per azionare la pompa dell’acqua.
Un’altra storia a lieto fine, ma sullo sfondo di una città ancora perseguitata dal suo passato. Nelle strade, bestiame e capre pascolano indifferenti davanti alle pareti butterate dai fori di proiettile. Solo sette anni fa, Independence Square era un macabro teatro in cui si svolgevano esecuzioni pubbliche, cui le folle erano costrette a partecipare.
La violenza, però, è ancora in agguato. Dal novembre 2018 ci sono stati almeno 15 scontri mortali a Gao, nelle periferie e in città vicine.
Mentre le bande armate continuano a dominare e a creare scompiglio nelle città e nei villaggi più piccoli della regione, Gao stessa ospita una grande base militare internazionale, con circa 13.000 soldati di 56 paesi che fanno parte delle forze di mantenimento della pace delle Nazioni Unite e lavorano per stabilizzare il paese.
Nonostante le continue minacce, per molti nella città di Gao c’è speranza. Più di 71.000 persone che erano fuggite vi hanno fatto ritorno. Alcuni, come Mariam Abu Bakr, hanno ancora paura ma, come ha spiegato, “ora, a poco a poco, siamo meno spaventati. Le cose stanno migliorando.”
Ad Aljanabandia l’acqua scorre dalla nuova pompa e, presso l’associazione An End to Running, gli affari vanno molto bene.
“Se dobbiamo organizzare un matrimonio”, spiega Mariam, “tutti i nostri membri devono mettersi al lavoro per un’intera settimana.”
Il prossimo passo, dice, è espandere la produzione. Vogliono iniziare a vendere in altre città oltre a Gao. La loro fuga, sperano, è finita.
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