Undici anni fa Sifa Risasi, rifugiata Congolese appena rimasta vedova, ha affidato le sue due bambine a un vicino per fuggire dal campo in Tanzania, perché era venuta a sapere che i suoi cognati volevano darla in sposa al fratello di suo marito.
Quest’anno, grazie allo sguardo attento dello staff dell’UNHCR che stava conducendo un’indagine sulle condizioni del campo per rifugiati di Nyarugusu, Tanzania, ha potuto finalmente riabbracciare le sue figlie in un incontro delicato e carico d’emozione organizzato dall’UNHCR e dall’International Rescue Committee. Avevano vissuto nello stesso campo per 5 anni senza saperlo.
“Dio ha finalmente risposto alle mie preghiere degli ultimi anni” ha detto Sifa durante la riunione, aggiungendo con emozione: “Sono stata molto felice, ma mi sentivo anche in colpa per aver abbandonato le mie figlie proprio quando avevano più bisogno di me”. Sia Riziki, 19 anni, che Yamlele, 15, hanno confessato di aver provato sentimenti contrastanti durante l’incontro, ma alla fine sono felici di avere di nuovo una famiglia unita.
La loro storia era cominciata negli anni ’90, nell’Est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), durante la guerra civile. Inizialmente Sifa, che oggi ha 44 anni, ha cercato protezione in Tanzania nel 1997 con suo marito, Kalibatu, e Riziki, che allora aveva 2 anni. La loro seconda figlia, Yamlele, è nata due anni dopo nel campo per rifugiati di Lugufu.
Nel 1999 Kalibatu è tornato in RDC dove poi è morto. Sifa alle prese con la sfida di crescere due bambine da sola, era venuta a sapere che i parenti di suo marito la consideravano una loro proprietà e intendevano risposarla. È stato allora che, presa dal panico, è fuggita di nuovo nella Repubblica Democratica del Congo nel 2003.
Un anno dopo è tornata in Tanzania dopo che la guerra era ricominciata nelle regioni orientali della RDC. Sifa è stata mandata nel campo di Nyarugusu, ma quando ha cercato di rintracciare le sue figlie ha scoperto che il vicino, a cui le aveva affidate, era rimpatriato con loro. Nessuno sapeva dove si trovassero le bambine – ironicamente, hanno vissuto nello stesso campo per molti anni.
Madre e figlie avrebbero potuto non sapere mai quanto fossero vicine se non fosse stato per l’UNHCR che era impegnato in un programma di controllo della popolazione rifugiata nel campo, e stava registrando informazioni sulle 70.000 persone residenti.
Lo staff ha notato delle somiglianze e delle connessioni nelle informazioni date da Sifa e dalle sue due figlie e hanno cominciato a sospettare che potesse esserci un legame familiare tra loro. I servizi alla comunità dell’UNHCR e dell’International Rescue Committee hanno raccolto con discrezione sempre più informazioni e hanno condotto ulteriori interviste.
“Era una faccenda delicata”, ha detto Irene Babu, UNHCR, che ha contribuito a organizzare la riunione. “Ci stavamo basando solo su un presentimento. Dovevamo procedere con cautela per evitare di esporre troppo entrambe le parti, e soprattutto di riaprire delle vecchie ferite”. Una volta che l’informazione è stata confermata, le due parti sono state informate e hanno convenuto di incontrarsi.
Babu ha detto di essere stata molto coinvolta nella storia. “Siamo riusciti a rintracciare Sifa quando abbiamo intuito che avesse dei legami familiari con le ragazze, a condurre un’indagine e a riunirle” ha aggiunto.
La tecnologia moderna, insieme alle fotografie e alle impronte digitali delle donne, ha reso più semplice quello che avrebbe potuto essere un processo lungo e complesso.
Le tre donne, nel frattempo, stanno lentamente imparando a conoscersi di nuovo. “Sono felice di vedere di nuovo mia madre, e al tempo stesso sono arrabbiata perché non ha fatto nessuno sforzo per prendersi cura di noi dopo averci lasciato con uno sconosciuto,” ha ammesso Riziki, prima di aggiungere: “All’inizio è stato difficile perdonarla, ma ora la stiamo accettando di nuovo”.
Yamlele ha detto di non aver provato un senso di affetto fin da subito. È stata cresciuta da sua sorella e dal loro vicino che si è dimostrato una persona gentile. “È difficile quando sei stata senza una madre per 11 anni, ma siamo fortunate ad averla riavuta viva”.
Sifa ha gestito la cosa con meno problemi. “Voglio ristabilire il legame tra madre e figlie” ha detto. “Sono molto emozionata anche perché ora sono una nonna. Ringrazio Dio per avermi dato una seconda possibilità per essere di nuovo una madre” ha detto, riferendosi al figlio di Riziki, di appena un anno.
Il programma di verifica della popolazione è cominciato nel novembre 2013 e si è concluso ufficialmente nell’agosto 2014, dopo aver raccolto i dati di tutte le persone residenti nel campo per aiutare in modo più efficiente il governo della Tanzania e l’UNHCR a offrire loro protezione e assistenza.
Di Tom Winston Monboe
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