PALERMO, Italia, 28 Agosto (UNHCR) – Abdel infila la faccia negli spiragli tra le assi di legno del soffitto, in cerca disperata d’aria.
Accanto a lui, 200-300 migranti e rifugiati, stanno soffocando nel buio pesto della stiva. Erano partiti martedì da Zuwara, in Libia, alle prime luci del giorno, su un’imbarcazione di legno traballante.
“Non volevamo scendere laggiù ma ci hanno costretti picchiandoci con dei bastoni,” dice Abdul, 25 anni, dal Sudan. “Ci mancava l’aria, cercavamo di risalire attraverso la botola e di respirare tra le crepe del soffitto. Ma gli altri passeggeri avevano paura che la barca potesse ribaltarsi e ci spingevano giu’ di nuovo, anche loro ci picchiavano. Alcuni ci calpestavano le mani.”
52 persone, provenienti da Bangladesh, Pakistan e Sudan, sono morte dentro la barca. Un giovane sudanese è morto accoltellato perché aveva cercato di uscire per chiedere dell’acqua. Gli altri sono morti asfissiati.
Le salme e i sopravvisuti della tragedia sono stati portati al porto di Palermo giovedi’ notte, 27 agosto. La nave della guardia costiera svedese Poseidon e’ attraccata intorno alle 20.15, portando 572 persone soccorse nel Mediterraneo il giorno precedente. Di queste un centinaio è stato trovato su un gommone partito da Tripoli, altre 460 su un peschereccio.
Per un posto sul livello superiore della barca, che ha due piani, alcuni di loro hanno pagato migliaia di euro o di dollari. Molti si aspettavano di viaggiare in modo confortevole e sono rimasti scioccati dalle condizioni della barca.
“Volevo tornare indietro quando ho visto la barca,” ha detto Hsna, una donna di 45 anni salita a bordo con il marito, tre figlie e un figlio piccolo.
“Era una barchetta da pesca, rischiavamo la vita. Era una barca della morte.”
I passeggeri erano stati trasportati su gommoni in gruppi di 20, dalla battigia all’imbarcazione. Una volta saliti a bordo non potevano più tornare indietro.
Amina, 18 anni, di Damasco, dice che aveva paura per la sua sicurezza viaggiando sola, una donna giovane senza marito. “Mi sentivo in pericolo perché sono così giovane,” ha detto. “E non avevamo né acqua né cibo.”
Amina, che ha lasciato la Libia con suo cognato, la moglie e la loro bambina di due anni, ha descritto i tre giorni di viaggio in mare come “molto difficili.”
Mahdi, un chirurgo ortopedico dell’Iraq ha pagato 3.000 euro per un posto sul ponte superiore insieme alla moglie Hend e al figlio di due anni Mahmed. Raccontano di essere dovuti fuggire dall’Iraq quando Mahdi si è rifiutato di trattare con i miliziani.
“Dovevo portare via la mia famiglia,” ha detto Mahdi. “Avevo visto cosa facevano a chi non obbediva.”
I migranti e i rifugiati saranno ora portati ai centri di accoglienza dislocati sul territorio. 16 Siriani, tra cui tre famiglie, resteranno invece a Palermo.
di Alice Philipson, Sicilia, Italia
Versione in italiano a cura di Jasmine Mittendorff
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