Sembrava un festival, in tutto e per tutto. C’era una band locale, le donne danzavano, e sono stati tenuti dei discorsi.
La vivacità di un evento organizzato a Olleo, nel nord della Costa d’Avorio, ha attirato moltissime persone prive di documenti, inclusi i certificati di nascita.
L’incontro è stato organizzato dall’Associazione di Sostegno Legale per le Donne della Costa d’Avorio (the Côte d’Ivoire Women’s Legal Aid Association) con il supporto dell’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Più di 500 persone si sono presentate. Quando Rosine Zouassi, parte dell’Associazione, ha chiesto alle persone senza documenti di alzare la mano, una densa folla si è fatta avanti e l’ha circondata. In tanti avevano entrambe le mani alzate.
Un senso di esclusione misto a paura e l’assenza di speranze hanno spinto gli abitanti del villaggio a farsi avanti. Molte famiglie vivono nel territorio da generazioni, per lo più senza alcuna educazione formale, isolate e senza la possibilità di registrare agevolmente la nascita dei propri figli.
“Non ho documenti, e senza documenti le persone non ti considerano davvero parte del villaggio,” afferma Zana Kongo, accanto al quale è seduta la figlia Djenika. Zana racconta che suo padre possedeva un certificato di nascita, ma quando è rimasto ucciso in un incidente stradale tutti i suoi averi sono stati rubati. “Senza documenti, qui, non vali più di un uccello.”
Nel mondo sono milioni le persone prive di nazionalità, e ancor più sono quelle a rischio di apolidia, spesso perché non possiedono i documenti che proverebbero la loro cittadinanza o il loro diritto alla cittadinanza. Queste persone devono affrontare numerose ingiustizie e difficoltà nel corso della loro vita.
Come molti altri che in Costa d’Avorio sono a rischio di apolidia, i membri della famiglia Silué coltivano un ampio appezzamento di terra, a diversi chilometri fuori dal villaggio. Lì, coltivano mais, riso e cotone.
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Ngolo Silué afferma di avere 50 anni, ma è probabilmente più anziano. Negli anni ha guadagnato abbastanza denaro da comprare una motocicletta anche se, come molti altri, è restio a utilizzarla oltre i confini del villaggio e dei campi circostanti.
“Ci sentiamo prigionieri,” afferma il suo figlio maggiore, Yeo. “Senza documenti abbiamo paura. Se vai in città in motocicletta, potrebbero fermarti, e allora sei nei guai.”
Senza documenti, le persone non possono cercare un lavoro ufficiale, studiare in università od ottenere la patente di guida. Proprio a causa di questa situazione le persone hanno paura e si sentono prigioniere.
In fondo alla strada, in un altro agglomerato di villaggi chiamato Fodoulokaha, il problema è esattamente lo stesso. Il capo di Fodoulokaha è Yeo Kalimon. Yeo pensa di avere 63 o 66 anni; come tutti, qui, è privo di documenti che possano certificare la sua età o fornirgli uno status ufficiale.
“Se avessi i documenti, sarei rispettato dalle persone,” dice. “Sarei considerato un vero capo.”
Più preoccupante è il caso di Sungary Koulibaly. Quand’era bambino ha improvvisamente perso la vista; la causa della sua cecità non è mai stata identificata, ma questa non gli ha comunque impedito di coltivare il suo campo per tutta la vita.
“È magico,” afferma Yeo Logba, un amico. “Riesce a distinguere le erbacce solo toccandole. È come se vedesse tutto nella sua testa.”
Sungary sente un dolore ricorrente alla testa, dietro agli occhi. Vorrebbe farsi visitare da un medico ma l’ospedale è in città, a una dozzina di chilometri, e l’idea di fare il viaggio da solo lo spaventa.
“Se avessi dei documenti ufficiali potrei andare, ma così potrebbero fermarmi e potrebbe succedere qualcosa di brutto.”
La paura è probabilmente infondata, come afferma Rosine Kouassi, ma è quella che lo tiene radicato nel villaggio. Nel descrivere il suo status, Sungary sceglie un altro animale.
“Senza documenti, non valgo più di una pecora,” dice.
Ci sono, però, alcuni elementi incoraggianti. A differenza dei Fulani, pastori che vivono a cavallo di diverse nazioni, gli abitanti di questi villaggi sono considerati ivoriani per sangue, e dunque non sono a rischio di apolidia. Ciononostante, ottenere i documenti che certificano la nazionalità è molto costoso, richiede tempo e dipende dalla decisione di un giudice. Per questo, molti non tentano nemmeno di iniziare la procedura.
Rosine Zouassi spiega che il periodo di tre mesi in cui è possibile dichiarare una nascita e ottenere direttamente un certificato è trascorso da tempo. A Olleo, Rosine spiega alla folla radunatasi che è necessario registrarsi presso la loro agenzia, che si occuperà di portare in tribunale le richieste ufficiali per velocizzare il processo.
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Alla fine della giornata, sono 418 le persone che si sono registrate.
“Vivono isolati nei loro villaggi,” afferma Rosine. “Quando comprendono l’importanza di questo documenti, poi vogliono davvero che li aiutiamo a ottenerli.”
“La strada è lunga e bisogna affrontare dei costi per ottenere un certificato di nazionalità o una carta d’identità. Grazie all’UNHCR, possiamo dire a queste persone che copriremo questi costi per loro.”
Senza questo supporto, ogni persona dovrebbe pagare per comparire davanti a un tribunale e per una visita medica che ne stimi l’età; il costo è di almeno CFA 80.000 (€120), che per quasi tutti è una cifra assolutamente proibitiva.
Rosine, dell’Associazione di Sostegno Legale per le Donne, viaggia per settimane di villaggio in villaggio per sensibilizzare le persone sull’importanza dei documenti. Il suo lavoro è al centro di una campagna sostenuta dall’UNHCR.
La campagna ha avuto inizio nel 2015 con la Dichiarazione di Abidjan, con la quale i 15 stati che compongono la Comunità Economica dell’Africa Occidentale (Economic Community of West African States – ECOWAS) si impegnano a lavorare per ridurre l’apolidia. Due anni dopo, hanno assunto un impegno vincolante in tal senso. Ora l’obiettivo è far sì che la Costa d’Avorio adotti una nuova legislazione che renda più agevole il procedimento di richiesta e concessione di documenti d’identità e che certifichino la nazionalità delle persone.
A Olleo, il messaggio sta arrivando a destinazione. Persone come Sinali, il secondo figlio di Ngolo Silué, si è registrato presso l’Associazione di Sostegno Legale per le Donne, perché vorrebbe mandare suo figlio a scuola.
“Mi fa male il fatto di non essere potuto andare a scuola”, dice. “Voglio che mio figlio ci vada, così poi potrà aiutarmi.”
Quell’aiuto consisterebbe nella lettura di documenti, per velocizzare il processo di ottenimento di certificati e documenti ufficiali.
Prevenire e ridurre l’apolidia è parte del mandato dell’UNHCR. Per saperne di più visita il sito: https://www.unhcr.org/stateless-people
Per saperne di più sulla campagna #IBelong per porre fine all’apolidia visita il sito: https://www.unhcr.org/ibelong-campaign-to-end-statelessness
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