La rifugiata Rosemary Kariuki è stata riconosciuta come ‘Eroe locale’ dell’Australia nel 2021 per il suo lavoro a favore delle donne costrette a fuggire che soffrono l’isolamento e la violenza di genere.
Il giorno di Natale del 2001, scrisse il suo recapito e un invito a prendere un tè o semplicemente un saluto su delle cartoline natalizie e le infilò sotto le porte di più di una dozzina di appartamenti del suo palazzo.
Da quel momento, i suoi vicini iniziarono a salutarla allegramente, e Rosemary aveva trovato il lavoro della sua vita.
“Quando sono arrivata qui, nessuno mi aveva dato informazioni. So che le donne amano riunirsi per mangiare e ballare, socializzare e vestirsi bene, così ho deciso di usare questa scusa per diffondere informazioni e sensibilizzare sulla violenza domestica”, racconta Rosemary, con un sorriso che illumina lo schermo su Zoom.
Oggi Rosemary, 60 anni, lavora come ufficiale di collegamento multiculturale per la polizia del Nuovo Galles del Sud a Campbelltown, alla periferia di Sydney, aiutando donne migranti e rifugiate. Molte di queste donne, come la stessa Rosemary, hanno subito violenza di genere e affrontano barriere linguistiche, finanziarie e culturali che le fanno sentire isolate.
Nel suo tempo libero, Rosemary gestisce diversi progetti per aiutare le nuove arrivate a superare l’isolamento, tra cui un programma di scambio culturale che presenta rifugiati e migranti alle famiglie locali, e un evento sociale annuale che riunisce donne africane rifugiate e migranti.
A gennaio, Rosemary ha vinto il premio “Australian of the Year” del governo australiano. È stata riconosciuta come “Local Hero” del 2021 per il suo impegno nel cambiare le vite delle persone, “specialmente quelle di donne e bambini”. Nel suo discorso di accettazione in una cerimonia a Canberra, Rosemary ha esortato tutti “ad aprire le porte ai loro vicini”.
Il lavoro di Rosemary non è mai stato così necessario. L’impatto della pandemia di COVID-19 sta peggiorando le disuguaglianze di genere e la discriminazione affrontata dalle donne e dalle ragazze rifugiate, ha avvertito oggi l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Il lockdown ha anche intrappolato alcune donne in casa con i loro aggressori, rendendole incapaci di cercare aiuto. A novembre, l’UNHCR ha segnalato un forte aumento della violenza contro le donne rifugiate e sfollate in diversi paesi.
Molte delle donne rifugiate con cui Rosemary lavora stanno ricostruendo le loro vite dopo aver subito un trauma, compresa la violenza per mano di membri della famiglia o come risultato di conflitti o guerre. Alcune vivono ancora con i loro aguzzini. Dall’inizio della pandemia, raggiungerle è stato più difficile.
“È stato molto impegnativo, ma non ci ha fermato”, ha detto Rosemary. “Ci sono tanti problemi di salute mentale e tanta violenza domestica che viene fuori, un sacco di impotenza. La maggior parte delle donne ha perso il lavoro o non sta facendo nulla a casa e sta cadendo in depressione”.
Pascasie Mudera, una 42enne rifugiata della Repubblica Democratica del Congo, ha vissuto in un campo rifugiati in Uganda per tre anni prima di ottenere il reinsediamento in Australia nel 2007. Esita ancora spesso quando parla del suo passato.
“Come ragazza giovane e sola in un campo rifugiati, devi affrontare molte sfide, a cominciare dagli abusi”, ha detto.
Pascasie ha incontrato Rosemary per strada quando quest’ultima le si è avvicinata per chiederle perché non indossava un maglione nonostante facesse freddo. Rosemary ha fatto subito amicizia con Pascasie e ha scoperto che era disabile a causa di un’infezione infantile da polio che le rendeva difficile trovare lavoro.
Rosemary l’ha presentata a un’organizzazione per i diritti dei disabili che le ha fornito supporto, compresa una migliore assistenza sanitaria e una casa con due camere da letto in cui ora vive con i suoi tre figli. Pascasie ha anche trovato un nuovo lavoro come assistente sociale presso un’organizzazione locale senza scopo di lucro che sostiene i migranti e i rifugiati africani.
Con l’aiuto di Rosemary, Pascasie ha superato la sua paura di uscire e ha incontrato persone che non la consideravano semplicemente una rifugiata.
“Comincio a ricordare che ‘oh, devo ricominciare a vivere’. Posso costruire di nuovo la mia vita e avere un futuro”, ha detto.
Il programma di scambio culturale di Rosemary, soggetto di un documentario del 2020 chiamato Rosemary’s Way, ha aiutato i nuovi arrivati come Pascasie a promuovere relazioni durature tra i rifugiati e la gente del posto.
Maria Baden, 69 anni, vive in una fattoria a Gerringong, sulla costa del Nuovo Galles del Sud a sud di Sydney, dove alleva bestiame per produrre carne Wagyu. Ha incontrato Rosemary nel 2007 ad un evento per donne ed è stata subito colpita dalla sua abilità nel gestire le sessioni e dal modo in cui “faceva ridere tutti”. Le due sono diventate amiche e Maria ha iniziato ad aiutare Rosemary con il programma di scambio culturale.
La prima volta che Maria ha ospitato un evento nella sua fattoria per far incontrare i rifugiati con la gente del posto, più di 36 donne rifugiate hanno condiviso i loro piatti tipici e le loro storie con le famiglie locali. Maria, che è organizzata e attenta ai dettagli, si è meravigliata di come Rosemary abbia semplicemente improvvisato “guidata dallo spirito” per indirizzare ogni ospite verso la famiglia locale più appropriata. Sembrava funzionare. Una donna del Sud Sudan e sua figlia hanno subito iniziato una conversazione con una vedova locale e sua figlia. Le due vedove hanno subito capito di avere qualcosa in comune.
“La donna locale aveva perso il marito in un incidente causato da un fulmine, mentre la donna sudanese aveva perso il marito in guerra nella stessa data”, ha detto Maria.
Rosemary pensa anche che sia importante che le donne migranti e rifugiate si mescolino tra loro. Nel 2006, ha aiutato ad avviare il gruppo delle donne africane. Invita le donne a ballare, socializzare e mangiare insieme con l’obiettivo di condividere informazioni su questioni che vanno dall’abuso alla genitorialità. La prima cena ha avuto come ospite principale una donna sopravvissuta alla violenza domestica. Il lunedì successivo, 20 donne che avevano partecipato all’evento sono andate alla stazione di polizia per denunciare i loro episodi di violenza domestica.
“Mi piace il fatto che siamo in grado di riunire tutte queste donne in uno spazio sicuro”, ha detto Edith “Ida” Nganga, dal Kenya, che aiuta il gruppo e ha partecipato ad un recente evento a sorpresa per celebrare il premio di Rosemary.
“Quando ha vinto, mi sono sentita come se fossi io a vincere. Lei è la prima africana a vincere questo grande premio”, ha detto Ida.
Il sogno di Rosemary è quello di poter pagare il suo mutuo e dedicarsi a tempo pieno ai suoi progetti a sostegno delle donne.
Il suo modello è la conduttrice americana di talk show Oprah Winfrey, che ha parlato apertamente degli abusi che ha subito da bambina e ha dato ad altre sopravvissute una piattaforma per condividere le loro esperienze.
“Amo Oprah”, ha detto Rosemary. “Mi ispira molto – come ha superato lo stupro, ha perso il suo bambino, ma ha continuato ad andare avanti e non ha mollato. Mi ispira ad andare avanti”.
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