Lungi dall’essere solo un gesto di beneficenza, le imprese colombiane stanno scoprendo che assumere rifugiati e migranti venezuelani dà i suoi frutti.
Il venezuelano César Jiménez Martínez è sordo dalla nascita e ora è un rifugiato. Ma l’azienda colombiana di fast-food Sierra Nevada ha visto oltre le sfide che si trova ad affrontare e ha riconosciuto in lui un buon dipendente.
“Quando sono arrivato a Bogotà, ho stampato un sacco di curriculum e ho iniziato ad andare di azienda in azienda, cercando qualsiasi tipo di lavoro. Ma nessuno mi ha assunto”, ha detto César nella lingua dei segni attraverso un interprete. “Così, quando sono andato al colloquio a Sierra Nevada e mi hanno chiesto di iniziare il giorno dopo, è stata una bella sensazione”.
La catena locale di hamburger e frullati è tra un piccolo ma crescente numero di attori del settore privato colombiano che hanno iniziato ad aprire le loro porte ai rifugiati e ai migranti venezuelani, offrendo quello che gli esperti dicono essere uno degli elementi più critici per il futuro successo di un rifugiato: un’occupazione stabile.
Alcuni mesi dopo l’arrivo di César a Bogotá dalla sua casa nella città venezuelana di Maracay, un amico gli ha raccontato di una lista di posti di lavoro che aveva visto su Facebook, specificamente rivolta a rifugiati e ai migranti, alla comunità LGBTI e a coloro che, come lui, hanno esigenze specifiche.
I manager dell’azienda avevano deciso di adottare pratiche di assunzione inclusiva, arrivando addirittura a stabilire quote target per ciascun gruppo. E questa decisione ha dato i suoi frutti, dicono i dirigenti aziendali.
“Abbiamo scoperto che gli impiegati venezuelani sono tra i nostri migliori dipendenti”, ha detto Marcela Covelli Escobar, direttore delle risorse umane di Sierra Nevada. “Hanno affrontato così tanto, e sono così felici e grati di avere un lavoro che fanno davvero di più”.
I rifugiati e i migranti venezuelani rappresentano circa il 20% della forza lavoro di Sierra Nevada, che conta 160 dipendenti, e César è uno dei 17 dipendenti sordi.
Lavora soprattutto nel retro, alla friggitoria e alla griglia – la sua mansione preferita – e con i suoi guadagni riesce a pagare l’affitto del modesto appartamento dove vive con la moglie e il figlio neonato, oltre a tutte le altre spese della famiglia. È anche in grado di mandare di tanto in tanto denaro a casa a sua madre e ad altri membri della famiglia rimasti in Venezuela.
Si stima che 4,5 milioni di venezuelani siano fuggiti da inflazione dilagante, insicurezza e persecuzioni, soprattutto verso altre nazioni sudamericane, dalla vicina Colombia a nord, all’Argentina e al Cile all’estremità meridionale del continente.
La scorsa settimana l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni hanno lanciato un piano da 1,35 miliardi di dollari per rispondere alle crescenti necessità dei rifugiati e dei migranti venezuelani in America Latina e nei Caraibi e delle comunità che li ospitano.
In Colombia e non solo, molti lottano per ottenere documenti di lavoro, a volte accettando per disperazione una retribuzione notevolmente inferiore al salario minimo, il che alla fine danneggia sia i lavoratori venezuelani che quelli colombiani. E anche coloro che riescono ad ottenere il diritto al lavoro spesso raccontano di essere stati rifiutati sommariamente ai colloqui di lavoro non appena i selezionatori vengono a conoscenza della loro nazionalità.
Eppure, Cesar non è il solo a trovare nuove speranze in un nuovo lavoro.
Laura Espinosa*, 37 anni, può sostenere se stessa e la sua famiglia grazie all’esplicita decisione di un’altra azienda privata di assumere rifugiati e migranti venezuelani. Un tempo dipendente pubblico in Venezuela, Laura ha rinunciato a una carriera professionale più che decennale per ricominciare da zero in Colombia.
Subito dopo la fuga, ha sentito dire che la Sunshine Bouquets, impresa che esporta fiori, stava assumendo centinaia di rifugiati e migranti venezuelani per lavorare durante l’alta stagione che precede il giorno di San Valentino. Le persone selezionate sarebbero state trasportate in autobus da Cúcuta, la città lungo il confine orientale della Colombia con il Venezuela, che è il punto di ingresso per molti rifugiati e migranti, a Tabio, a nord di Bogotá, dove Sunshine Bouquet ha alcune delle sue enormi serre, così come un impianto di produzione di bouquet.
Ai lavoratori sarebbe stato fornito cibo e alloggio – in file ordinate di camper allestiti con acqua calda e altri servizi – per un mese, permettendo loro di intascare l’intero stipendio del salario minimo mensile di circa 250 dollari della Colombia, più gli straordinari.
“Avevo sempre lavorato in ufficio e non avevo mai fatto nessun tipo di lavoro manuale”, ha detto Laura, che lavora nelle serre, curando le file di rose e costruendo anche i mazzi di fiori che vengono trasportati quotidianamente ai rivenditori statunitensi come Walmart. “Ma ero così felice per questa opportunità, e mi sono rimboccata le maniche e ho dato il massimo”.
Laura ha entusiasmato i suoi capi e le è stata offerta una posizione a lungo termine una volta terminato il periodo di alta stagione. Insieme ai suoi genitori e alla figlia di sette anni si è trasferita in un appartamento di zona e sta sostenendo tutta la famiglia solo con il suo stipendio.
“Ogni giorno, sono grata che mi abbiano aperto le porte qui, perché per noi è stato difficile lasciare il Venezuela, ma è stato molto più facile che per tanti altri grazie al mio lavoro”, ha detto.
L’occupazione è una componente chiave della protezione dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei migranti nei paesi ospitanti e sviluppare mezzi di sussistenza è uno dei pilastri del Patto Globale sui Rifugiati, un accordo storico del 2018 per dare una risposta più forte ed equa agli esodi dei rifugiati.
Il Global Compact è la base del prossimo Global Refugee Forum, che riunirà i governi, le organizzazioni internazionali, le autorità locali, la società civile, il settore privato, i membri della comunità ospitante e gli stessi rifugiati. Il Forum mira ad alleggerire l’onere che grava sulle comunità ospitanti, a rafforzare la capacità dei rifugiati di diventare autosufficienti e ad aumentare le opportunità di reinsediamento. Il primo Forum inaugurale si terrà a Ginevra dal 17 al 18 dicembre.
Condividi su Facebook Condividi su Twitter