Il futuro di un centro, che ha trasformato la capacità delle donne di sostenere se stesse e le loro famiglie, rimane incerto.
Solo pochi mesi fa, un nuovo e brillante centro per l’imprenditoria femminile che sostiene le commercianti e offre corsi di inglese, informatica e formazione professionale alle donne, era pieno di gente. Oggi i piani superiori, dove si tengono i corsi, un asilo nido, sale di consulenza psicosociale, uffici e un’area permanente per la vendita di prodotti artigianali, sono silenziosi.
“Un tempo qui era molto, molto frequentato”, ha detto Sahar*, rifugiata che ha fatto ritorno e madre di due figli, che gestisce un negozio di abbigliamento al piano terra. È una delle 35 attività gestite da donne che attualmente operano gratuitamente nel centro. “Da quando è stato vietato al personale femminile di lavorare per le organizzazioni non governative, il secondo piano è stato chiuso. Abbiamo perso molti clienti.
“C’erano molti studenti che andavano e venivano da questi negozi; hanno sparso la voce sui negozi qui e ci hanno aiutato a commercializzare il posto. Ora le mie entrate si sono ridotte di molto, direi di circa il 50%”, ha detto.
Il centro è stato aperto nel giugno 2022 come progetto pilota richiesto dalla comunità e sostenuto dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, con il partner afghano Women Activities and Social Services Association (WASSA), per fornire opportunità di sostentamento alle donne nel distretto di Guzara, nell’Afghanistan occidentale, a circa 12 chilometri a sud della città di Herat.
L’area, adiacente a campi e case di fango, ospita un alto numero di rifugiati rimpatriati e sfollati afghani. È stata designata come una cosiddetta area prioritaria per il ritorno e la reintegrazione (PARR) dall’UNHCR, che sostiene iniziative per migliorare l’accesso ai servizi essenziali e sviluppare le infrastrutture chiave in queste aree.
Tuttavia, dopo l’apertura del centro, le autorità de facto di Kabul hanno gradualmente introdotto ulteriori norme che riguardano le donne e le ragazze. Oltre a vietare loro l’accesso alla scuola secondaria e alle lezioni private, sono stati introdotti decreti che impediscono alle donne di percorrere lunghe distanze sui mezzi pubblici senza un parente maschio o un mahram (tutore) e vietano loro l’accesso a parchi e palestre. A fine dicembre, un nuovo decreto ha vietato alle donne di lavorare per le organizzazioni non governative, costringendo a chiudere le lezioni e le attività del centro, tutte gestite da operatrici delle ONG.
“Poter gestire questo negozio è stata un’occasione d’oro per me”, ha detto Motahera, madre di due figli, che gestisce un negozio di merceria presso il Women’s Business Centre insieme a una sua parente, Shahrbanoo. Sono stata così fortunata a poter lavorare e ad avere il sostegno dell’UNHCR”.
“Onestamente, posso dire che ha cambiato la nostra personalità e ha ripristinato la nostra autostima. Non eravamo più solo donne che stavano a casa, siamo diventate imprenditrici”.
Le donne, entrambe ex rifugiate, investono tutti i loro profitti nel negozio, acquistando nuove scorte per mantenere i clienti soddisfatti. Motahera sognava di comprare una casa. “Quando le attività al secondo piano sono cessate, abbiamo perso molti clienti. I nostri profitti sono diminuiti di circa il 30%. È stato un vero shock per noi e ho pianto molto. Temevo che anche le nostre attività dovessero chiudere.
Ci sono così tante voci. Sento che ora tutto è possibile, ma non lo sappiamo e non possiamo prevedere il futuro”, ha detto.
Le commercianti non sono le sole a sentire l’impatto economico delle restrizioni sulle donne. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha recentemente stimato che l’occupazione femminile in Afghanistan è diminuita di un quarto da quando le autorità de facto hanno preso il potere nel 2021, notando che il lavoro autonomo a domicilio è diventato la principale forma di partecipazione delle donne al mercato del lavoro. L’agenzia ha anche stimato che il PIL dell’Afghanistan si è contratto del 30-35% negli ultimi due anni.
Una dozzina di ex studenti di lingua inglese e di informatica del centro di Herat ha raccontato di essersi sentita devastata quando le lezioni sono state interrotte da un giorno all’altro. “Dopo il divieto di far studiare le ragazze oltre il sesto anno, questo era l’unico posto dove potevamo venire a imparare. Qui potevamo anche fare nuove amicizie e fare rete. Era un posto davvero fantastico”, ha detto Nargis, 20 anni.
“Quando ha chiuso, potevamo solo stare a casa ed eravamo così depresse. Io sono rimasta in camera mia e non sono uscita”, racconta un’altra studentessa, Raziea.
“Le attività del centro ci hanno aperto una nuova finestra”, ha detto Latifa, 21 anni. “Ha dato nuova speranza a tutti. Ora le porte sono chiuse per noi”.
L’UNHCR e il partner WASSA stanno progettando di distribuire tablet agli studenti e di condurre lezioni online, anche se la scarsa connettività a Internet e i costi potrebbero scoraggiare molti.
Hayatullah Jawed, assistente senior per la protezione dell’UNHCR a Herat, che ha lavorato al progetto, ha affermato che il centro ha avuto un impatto trasformativo. “Ha cambiato totalmente il punto di vista della comunità; abbiamo ricevuto un feedback molto positivo dalle persone. È stato un nuovo capitolo della loro vita e ha dato nuova speranza”.
“Prima abbiamo sentito che molti stavano pensando di andarsene e tornare in Iran, perché qui non avevano speranze; ma dopo l’apertura del centro, erano fiduciosi e sentivano di poter svolgere un ruolo positivo nello sviluppo del loro Paese”, ha detto.
Le donne cercano di rimanere fiduciose, ma alcune studentesse hanno detto che le loro famiglie stanno pensando di lasciare l’Afghanistan se le cose non cambieranno presto. Nargis, che ha seguito un corso di formazione sulla riparazione dei telefoni cellulari, ha detto che non rinuncerà alla sua determinazione a studiare di nuovo.
“Nessuno può tenere la luna dietro le nuvole”, ha detto. “Riapparirà. Quello con cui abbiamo a che fare è temporaneo, non eterno. Dobbiamo mantenere la speranza per il futuro e rimanere forti”.
*Non è il suo vero nome
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