Doaa è una rifugiata siriana di 19 anni, costretta a fuggire dalla guerra e a condurre una difficile esistenza in esilio in Egitto, insieme alla sua famiglia.
Senza un permesso di lavoro in Egitto, Doaa si destreggiava tra lavoretti giornalieri mal retribuiti. Un giorno, una banda di motociclisti ha cercato di rapirla per strada. La guerra in Siria, che li aveva fatti fuggire, andava ormai avanti da 4 anni, e le persone che una volta li avevano accolti in Egitto erano diventati ostili. Col passare dei mesi, Doaa era sempre più spaventata.
Eppure, nonostante tutto, Doaa aveva ancora speranza, perché era innamorata. Il suo fidanzato Bassem era anche lui un rifugiato siriano; le aveva promesso di portarla in salvo in Europa, dove si sarebbero sposati, lui avrebbe lavorato, lei avrebbe continuato gli studi e insieme si sarebbero costruiti una nuova vita. Doaa conosceva i rischi. Era l’agosto del 2014, e quell’anno 2000 rifugiati e migranti erano già morti nel tentativo di attraversare il Mar Mediterraneo. Per la seconda volta nella sua giovane vita, Doaa sentiva di non avere altra scelta che fuggire.
Bassem ha pagato i trafficanti con i risparmi di una vita, 2.500 dollari a testa, per assicurarsi un posto su un vecchio peschereccio, così pieno di gente che le ginocchia di Doaa erano piegate e attaccate al petto. Bassem la teneva per mano.
Dopo due giorni in mare Doaa ha iniziato a perdere le speranze. Il terzo giorno ha detto a Bassem: “Ho paura che non ce la faremo. Ho paura che finiremo per affondare”. Bassem l’ha confortata, parlandole della magnifica vita che li attendeva in Europa. Avrebbero raggiunto la Svezia, si sarebbero sposati e sarebbero stati felici.
Il quarto giorno un’altra barca, ancora più piccola e in condizioni peggiori, si è avvicinata a loro. Quando i trafficanti hanno ordinato ai passeggeri di spostarsi sull’altra barca, loro si sono rifiutati. I trafficanti si sono allora allontanati con rabbia, per poi tornare indietro a bucare il peschereccio su cui viaggiavano Doaa e Bassem. Gridavano: “Lasciate che i pesci mangino la vostra carne”, e ridevano. In pochi minuti, il peschereccio si è capovolto ed è affondato, trascinando con sè le 300 persone che erano state chiuse sotto coperta.
“Il mare è diventato nero”, racconta Doaa. “Ho sentito la gente urlare, e le onde sbattere. Mi sentivo sul punto di annegare”. Doaa racconta di aver visto un bambino fatto a pezzi dall’elica. Miracolosamente, Bassem ha trovato un materassino. Teneva la mano di Doaa e nuotava per tenersi a galla. C’erano cadaveri dappertutto. I circa 100 sopravvissuti si erano riuniti in piccoli gruppi, e pregavano affinchè qualcuno venisse a salvarli.
Ma con il passare della notte e l’arrivo di un nuovo giorno, senza che nessuno fosse arrivato a salvarli, molti hanno iniziato a perdere la speranza. Doaa ha visto uomini togliersi i giubbotti di salvataggio e lasciarsi annegare. Sentendo che la sua fine era vicina, un palestinese si è avvicinato con suo nipote di 9 mesi, Malek. “Ti prego, prendi il bambino. Sono molto stanco e non ce la faccio più”. Poi si è arreso, e ha lasciato che il mare si portasse via la sua vita.
Poco dopo, anche Bassem ha raggiunto il limite delle forze. Stavolta era il turno di Doaa di confortarlo, di chiedergli di resistere e di aggrapparsi alla speranza del loro futuro insieme. Ma Bassem non ce l’ha fatta. “Mi dispiace, amore mio, per averti portata qua.Ti prego, perdonami”. Poi si è lasciato annegare, davanti agli occhi della sua amata Doaa.
Più tardi, lo stesso giorno, una donna ha nuotato verso Doaa tenendo stretta Masa, una bambina di 18 mesi. “Salvala” le ha detto, “io non sopravviverò”.
Doaa, la giovane diciannovenne che non sapeva nuotare, che aveva appena visto il suo fidanzato annegare, si trovava adesso ad essere responsabile di due giovani vite. I due bambini piangevano, erano agitati, avevano fame e sete. Doaa raccontava loro delle storie, parlava con loro. Era passato un altro giorno, e poi un altro ancora. Il quarto giorno in mare, Doaa ha visto arrivare una barca mercantile. Ha gridato, per un tempo le è sembrato lunghissimo. Forse due ore. Alla fine, le luci del mercantile l’hanno trovata. Gli uomini che l’hanno tratta in salvo non potevano credere di averla trovata ancora viva. Il piccolo Malek, però, non ce l’ha fatta: è morto nell’infermieria della barca. Masa, invece, è sopravvissuta.
Solo 11 persone sono sopravvissute a quel naufragio. 11 su circa 500 persone a bordo. Nessuno ha mai indagato su quello che era successo, e l’attenzione del mondo è passata oltre.
La storia di Doaa si è diffusa, e la ragaza ha iniziato a ricevere chiamate e messaggi. Uno di loro era dello zio di Masa: “credo tu abbia salvato la mia nipotina”. La piccola che Doaa ha salvato, finalmente al sicuro in un orfanotrofio ad Atene, raggiungerà il prima possibile lo zio, rifugiato in Svezia con la sua famiglia.
L’eroismo di Doaa è stato elogiato dai media greci, e il 19 dicembre l’Accademia di Atene, una delle più autorevoli istituzioni greche, le ha conferito un premio in riconoscimento del suo coraggio.
La storia di Doaa è stata raccontata da Melissa Fleming in un TEDtalk.
Poche semplici domande sono state poste: perchè Doaa e Bassem non hanno avuto una via legale d’accesso all’Europa? Perchè non è stato ancora implementato un programma per il trasferimento dei rifugiati siriani? E soprattutto, perchè si sta facendo così poco per fermare le guerre e le persecuzioni che spingono sempre più persone a fuggire dai propri paesi e a cercare protezione in Europa?
La pura e semplice verità è che i rifugiati non rischierebbero le proprie vite in pericolosi viaggi sul mare se avessero la possibilità di vivere in sicurezza e tranquillità nelle loro case. Non si imbarcherebbero in barche sovraffollate se avessero la possibilità di crescere e sfamare i propri figli in pace. E non si affiderebbero a trafficanti senza scrupoli se avessero vie legali d’accesso alla salvezza.
Nessuna persona in fuga da guerre e persecuzioni dovrebbe morire in mare cercando la via della salvezza.
Photo credit:AFP/M.Kartsonakis
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