In Somalia, gli effetti della siccità quali i cattivi raccolti e la moria del bestiame, sommati alle estorsioni di al-Shabab, costringono migliaia di agricoltori e allevatori ad abbandonare le proprie terre e a cercare rifugio oltre confine.
Otto anni fa, quando a causa della siccità ha perso la maggior parte delle mucche e delle capre che possedeva, Barwako Noor Abdi è stata costretta ad abbandonare la propria casa nella regione di Gedo, in Somalia, e a cercare aiuto altrove in un paese che già soffriva a causa di decenni di insicurezza.
Durante la successiva siccità, che ha colpito il paese tra il 2016 e il 2017, Barwako non ha nemmeno potuto vendere gli animali sopravvissuti, poiché non c’era più domanda di bestiame.
Quest’anno, con la nuova ondata di siccità, non ha avuto altra scelta che vendere il piccolo appezzamento di terra che le era rimasto prima di fuggire oltre il confine con l’Etiopia.
“Non c’era nulla che potessimo fare per sopravvivere,” racconta la donna, 38 anni, mentre culla il più piccolo dei suoi nove bambini, che piange affamato. “Me ne sono andata per i miei bambini.”
A causa della già scarsa sicurezza e dell’aggravarsi della siccità, quest’anno oltre 5.000 somali sono fuggiti in Etiopia – quattro volte più del numero di persone che ha attraversato il confine in cerca di sicurezza nel 2018.
Si prevede che molte altre famiglie fuggiranno nel sud dell’Etiopia nei prossimi mesi a causa della peggiore carestia che ha colpito la Somalia dal 2011.
La situazione di sicurezza già estremamente fragile è aggravata dal gruppo militante al-Shabab, che stabilisce i prodotti che gli agricoltori devono coltivare e riscuote “tasse” – o meglio, estorsioni – da comunità rurali già in notevole difficoltà.
“Prima potevamo coltivare le nostre terre, e le piene del fiume ci permettevano di sopravvivere,” racconta Shalle Hassan Abdirahman, arrivato al centro di accoglienza dell’UNHCR di Dollo Ado, nell’est dell’Etiopia, dopo un viaggio di tre giorni dalla regione somala del Basso Giuba.
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“Avevamo coltivazioni come mais, pomodori e sesamo lungo il fiume. Ora però il fiume è in secca e non piove. Quel che è peggio è che al-Shabab ci costringe a coltivare prodotti che non avevamo,” aggiunge.
L’uomo, 53 anni, coltivava e vendeva tabacco prima che fosse vietato da al-Shabab. Oltre alla perdita di reddito, Shalle subiva continui soprusi ed era costretto a versare ad al-Shabab una “tassa” di 1.500 dollari USA – una somma che non poteva permettersi.
Purtroppo, Shalle non è l’unica vittima di tali soprusi. Numerose famiglie a Dollo Ado raccontano che le comunità dovevano versare denaro ad al-Shabab o consegnare i propri bambini perché fossero addestrati come soldati. Come molti rifugiati appena arrivati al centro dell’UNHCR, Barwako aveva paura che i suoi figli sarebbero stati arruolati da al-Shabab se fossero rimasti in Somalia.
“I miei figli stanno crescendo, rischiavano di essere portati via per essere costretti a combattere. Per questo sono venuta qui, perché possano andare a scuola e avere un futuro migliore,” afferma.
L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nutre sempre maggiore preoccupazione per il rischio di esodi legati al clima, sia all’interno dei singoli paesi che al di là dei confini nazionali.
Il Patto Globale sui Rifugiati, adottato con una larga maggioranza all’Assemblea Generale dell’ONU nel dicembre 2018, affronta direttamente questa crescente preoccupazione riconoscendo che “il clima, il degrado ambientale e i disastri naturali interagiscono sempre più con le cause degli esodi di rifugiati.”
Muhammad Harfoush, responsabile della protezione nell’ufficio dell’UNHCR a Melkadida, afferma che l’insicurezza e le sempre più gravi siccità sono state chiaramente le cause dell’impennata di nuovi arrivi in Etiopia: “La sicurezza rimane la preoccupazione principale in Somalia, ma anche la siccità colpisce l’intera popolazione.”
“Continuiamo a ricevere notizie di morie di bestiame, scarsità d’acqua e impossibilità di spostarsi per cercarla. Per queste persone la vita sta diventando estremamente difficile.”
Il centro di accoglienza di Dollo Ado è situato ad appena tre chilometri dal confine con la Somalia. Con l’aumento degli arrivi – a volte fino a 80 persone al giorno – le strutture sono sottoposte a crescente pressione e non c’è abbastanza spazio per tutti. Famiglie come quella di Shalle sono accampate fuori dal centro in attesa di essere registrate e trasferite in uno dei cinque campi di rifugiati di Melkadida.
Altre famiglie, come quella di Barwako, sono ospitate temporaneamente in una scuola gestita da uno dei partner dell’UNHCR, World Vision, a Bur Amino.
La scarsità di alloggi disponibili rappresenta una difficoltà notevole per l’UNHCR, che intende per questo fornire ulteriori alloggi per accogliere il crescente numero di rifugiati provenienti dalla Somalia.
Nonostante il centro di accoglienza di Dollo Ado sia sovraffolato, da quando è arrivato in Etiopia Shalle ha finalmente trovato un po’ di sollievo.
“Sono riuscito a dormire tranquillo da quando sono qui,” dice.
Il 23 settembre a New York le Nazioni Unite ospitano il Vertice sull’Azione per il Clima 2019 per affrontare la sfida del cambiamento climatico. L’UNHCR aderisce all’appello, esortando la comunità internazionale a intervenire con urgenza per prevenire e mitigare gli effetti degli esodi provocati dal clima.
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