L’UNHCR lavora a stretto contatto con le autorità del Bangladesh per proteggere i rifugiati Rohingya vulnerabili dai rapimenti e dalla tratta di esseri umani nell’insediamento di rifugiati di Kutupalong.
Quando suo figlio Mohamed*, 7 anni, è stato rapito nel vasto insediamento di rifugiati di Kutupalong nel sud-est del Bangladesh, Sara* si è messa in cammino per trovarlo.
“Non ho mangiato per tutta la settimana. Ho solo camminato, cercandolo in ogni angolo del campo. Non sentivo più le gambe”, dice.
L’insediamento di rifugiati di Kutupalong è il più grande del mondo. Ospita circa 900.000 rifugiati Rohingya apolidi, la stragrande maggioranza dei quali è fuggito dalle persecuzioni in Myanmar nell’agosto 2017.
Il rischio di essere rapiti e diventare vittime della tratta è relativamente basso, ma reale. Finora quest’anno l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e i suoi partner sono intervenuti in più di 170 casi di persone scomparse, rapimenti e sequesti di persona nel campo, ma il numero reale è probabilmente molto più alto.
I rifugiati Rohingya, come le famiglie povere del Bangladesh, sono vulnerabili alla tratta di esseri umani. Molte vittime della tratta vengono costrette al lavoro forzato o coatto, alla schiavitù domestica o alla prostituzione.
Terrorizzata dal fatto che non avrebbe mai più rivisto Mohamed, Sara ha denunciato la sua scomparsa all’UNHCR, che si è immediatamente attivato.
Dei volontari hanno incontrato la famiglia nel vasto insediamento di case fatte di bambù e teli di plastica, e hanno informato un avvocato che lavora per l’organizzazione partner dell’UNHCR, Technical Assistance Inc. (TAI). Il funzionario del governo locale del Bangladesh responsabile del campo è stato informato e ha contattato la polizia. A quel punto, Mohamed era scomparso da quattro giorni.
Sara era convinta che la sua scomparsa fosse legata ad una disputa con la famiglia del marito Ahmed*, che aveva lasciato lo stato di Rakhine in Myanmar con un peschereccio nel 2012 per cercare lavoro in Malesia. In Myanmar Ahmed faceva il contadino, ma non riusciva a mantenere la sua famiglia a causa delle restrizioni governative sulla circolazione e sull’accesso al lavoro retribuito. Ora, senza documenti, stava incontrando difficoltà a ricongiungersi alla sua famiglia in Bangladesh.
Per Sara, la famiglia di suo marito sospettava che lei avesse risparmiato i soldi che Ahmed le aveva mandato per occuparsi dei due figli. Ha detto alla polizia che l’hanno minacciata e hanno rapito suo figlio minore, Mohamed, nel tentativo di estorcerle del denaro.
Quando ha rivelato i suoi sospetti all’avvocato e alla polizia, suo cognato e altri membri della famiglia sono stati immediatamente interrogati. Così si è scoperto che Mohamed era in una casa nella città di Cox’s Bazar, a circa 90 minuti di macchina da Kutupalong.
Tre giorni dopo, la polizia lo ha trovato legato, ma illeso, durante una perquisizione domiciliare. Da giorni non mangiava adeguatamente. Una volta liberato, Mohamed e la sua famiglia hanno ricevuto supporto psicosociale dal TAI.
“Era profondamente traumatizzato. Non voleva nemmeno mangiare. Abbiamo fatto tutto il possibile per aiutarlo e abbiamo parlato con la sua famiglia. Ho spiegato alla sua famiglia come aiutarlo a riprendersi dal trauma. Ora è tornato a frequentare il centro di apprendimento, e sta già molto meglio”, dice l’operatore, che ha chiesto di restare anonimo.
Il funzionario di campo coinvolto nel caso ha detto che le autorità si occupano ogni giorno di un’ampia gamma di questioni, tra cui violenza domestica, sessuale e di genere, protezione dell’infanzia e bambini scomparsi.
“Le donne e i bambini sono i più vulnerabili. In ogni situazione di emergenza, le persone sono traumatizzate. E c’è chi prende di mira i più vulnerabili e si approfitta di coloro che non sono istruiti”, dice. “Tuttavia, tutti siamo parte integrante della risposta. È una sfida, ma il coordinamento funziona bene”.
Delle 170 persone che quest’anno sono state denunciate come scomparse all’UNHCR, 106 casi sono stati risolti con successo, mentre 64 rimangono aperti. Tuttavia, è probabile che molti casi non vengano denunciati nel distretto di Cox’s Bazar, uno dei più poveri e meno sviluppati del Bangladesh, dove le reti di trafficanti esistevano da ben prima che l’afflusso massiccio di rifugiati Rohingya iniziasse due anni fa.
A sostegno del governo del Bangladesh, e lavorando a stretto contatto con i partner, l’UNHCR ha la responsabilità di garantire la sicurezza dei rifugiati che si prendono cura di loro. A settembre l’UNHCR ha contribuito a costituire un gruppo di lavoro anti-tratta, che dirige insieme all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), per mappare e analizzare i casi di tratta e migliorare il coordinamento.
L’UNHCR lavora anche con vari partner per fornire consulenza legale, rappresentanza legale, mediazione e coordinamento delle operazioni di soccorso. Campagne di sensibilizzazione sono intraprese all’interno della comunità per migliorare la protezione dei rifugiati.
L’adozione di misure per proteggere i rifugiati e le comunità che li ospitano, garantendo loro i diritti legali e l’accesso ad un giusto processo, è uno dei temi che saranno affrontati al Forum Globale sui Rifugiati – un incontro ad alto livello che si terrà il 17-18 dicembre a Ginevra e che riunirà il settore privato, le organizzazioni umanitarie e di sviluppo e i governi.
Da parte sua, Abdur Rahman, l’avvocato che ha lavorato per trovare e liberare Mohamed, è convinto che la sensibilizzazione sui servizi legali nei campi sta avendo un effetto positivo.
“Prima era peggio, c’erano più casi di rapimento. Ma ora le persone stanno gradualmente imparando che ci sono vie legali da utilizzare. Sempre più persone vengono a chiedere assistenza legale e questo riduce il numero di casi di rapimento”, dice. “Si può vedere una trasformazione comportamentale, che è il fattore più importante”.
Per la madre di Mohamed, l’azione tempestiva di diverse autorità per assicurare il suo recupero e ritorno a casa ha significato tutto.
“Sono svenuta quando finalmente l’ho rivisto – per il dolore e la felicità”, dice Sara, che ha ringraziato l’UNHCR, gli avvocati e la polizia per aver creduto alla sua storia e aver agito di conseguenza.
“Se non l’avessero fatto, non so dove si troverebbe mio figlio in questo momento. Sospetto che l’avrebbero venduto perché non avevo i soldi per pagare quello che mi hanno chiesto”, aggiunge, abbracciando forte suo figlio.
Per maggiori informazioni sul Global Refugee Forum clicca QUI.
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