Migliaia di persone erano già state costrette a fuggire dalla violenza nell’instabile regione dell’Estremo Nord del Camerun. Ora i sopravvissuti hanno paura di tornare a occuparsi dei loro campi a causa di un’ondata di attacchi mortali.
La paura e la fame perseguitano i sopravvissuti a un attentato suicida in un campo di sfollati interni nel nord del Camerun, raccontano i residenti del luogo.
Diciotto persone sono morte e altre 15 sono rimaste ferite nell’attacco notturno del 1° agosto a Nguétchéwé, vicino al confine con la Nigeria, dove migliaia di sfollati interni hanno cercato salvezza negli ultimi sette anni.
Da allora, l’insicurezza nella regione camerunense dell’Estremo Nord è continuata. Gli aggressori hanno ucciso sette persone e ne hanno ferite 14 lunedì, quando hanno preso di mira il villaggio di Goldavi, che ospita gli sfollati interni.
I 2.000 residenti del sito vicino a Kolofata hanno dovuto modificare la loro routine quotidiana da agosto e questo ha reso la loro vita ancora più difficile.
“Non possiamo più lavorare nei campi per paura che ci siano nascosti degli uomini armati e ci attacchino. In questi giorni noi contadini non facciamo praticamente nulla”, ha detto Ndonoko, 40 anni, che è fuggito a Nguétchéwé quando gli aggressori hanno bruciato il suo villaggio in Camerun.
Ndonoko non è estraneo alla violenza. Suo fratello minore è stato ucciso l’anno scorso e sua nipote, Yakadam, è morta nell’attacco di agosto al campo, che si trova nel comune di Mozogo, nella regione dell’Estremo Nord.
Nguétchéwé, che confina con una riserva naturale, si trova al confine con la Nigeria e questa vicinanza lo rende vulnerabile.
“Questo attacco ha colpito soprattutto donne e bambini”.
L’attacco ha cambiato la vita a Nguétchéwé, un villaggio di capanne di paglia ricoperte da teloni strappati, anche in altri modi. I bambini giocano ancora, le donne vanno a prendere l’acqua da un pozzo o vanno al mercato locale e alcune persone lavorano ancora in piccoli campi di riso e mais. Ma altri hanno organizzato dei gruppi di vigilantes per difendersi e gli abitanti del villaggio dormono all’aperto per poter fuggire se attaccati di nuovo.
“Questo attacco ha colpito soprattutto donne e bambini, che hanno bisogno di protezione”, ha detto Olivier Guillaume Beer, Rappresentante dell’UNHCR in Camerun.
“Ciò dimostra l’estrema vulnerabilità di queste popolazioni sfollate… Abbiamo il dovere di fornire loro protezione e assistenza e siamo a disposizione delle autorità per aiutarle in questo compito”, ha detto.
La violenza sta aumentando nella regione dell’Estremo Nord, dopo una serie di saccheggi, attacchi e rapimenti da parte di Boko Haram e di altri gruppi. Circa 360.000 sfollati interni e 115.000 rifugiati nigeriani rimangono nella regione.
In totale, circa 3,2 milioni di persone sono fuggite dalle loro case nella regione del bacino del lago Ciad. Tra queste circa 2,8 milioni sono sfollate interne nel nord-est della Nigeria, Camerun, Ciad e Niger e circa 300.000 sono rifugiati nigeriani fuggiti nei Paesi vicini.
“Ho svegliato i miei figli per correre verso la boscaglia”.
I ricordi dell’attacco di agosto perseguitano i sopravvissuti. Suzanne Taramna ricorda il suono degli spari che la svegliarono quella notte.
“Ho svegliato i miei figli per correre verso la boscaglia. Nel buio, la gente correva. Era una vera e propria fuga e nella confusione ho perso di vista due dei miei figli che hanno preso un’altra direzione. Ho trovato riparo in un campo di grano. Non lontano da me, ho sentito una forte esplosione. Sono stata colpita ad una mano dai detriti dell’ordigno esplosivo”, ha detto.
“Poi, quando sono tornata indietro, ho scoperto i resti dei miei due ragazzi di 12 e 8 anni”, ha detto.
I testimoni hanno detto che gli stessi attentatori suicidi erano bambini. A pochi giorni dall’attentato, anche le persone di Kordo e Guérédou, nelle vicinanze, sono fuggite dalle loro case per paura di essere prese di mira.
L’UNHCR fornisce protezione e assistenza con acqua, cibo, alloggi e altri aiuti a più di 400.000 rifugiati in Camerun, principalmente dalla Nigeria e dalla Repubblica Centrafricana.
“Hanno perso tutto”.
Per Mylène Ahounou, capo dell’ufficio UNHCR a Maroua, nel nord del Camerun, le necessità sono infinite.
“Hanno perso tutto: dai beni materiali ai documenti e questo li espone a rischi di ogni tipo, dallo sfruttamento all’impoverimento”, ha detto.
“Queste persone, che sono state costrette a fuggire più di una volta, sono particolarmente esposte alle intemperie e hanno bisogno di coperte, stuoie, kit igienici per le donne, servizi igienici e naturalmente accesso all’acqua potabile, all’assistenza sanitaria e al cibo”, ha detto.
Una recente donazione di cibo da parte del governo ha rappresentato un segno di speranza, insieme alla risposta congiunta degli attori umanitari della zona. Eppure i problemi persistono.
“La nostra operazione rimane sottofinanziata ed è anche cruciale che l’UNHCR e i suoi partner umanitari ottengano un migliore accesso in modo da poter servire meglio tutti coloro che sono stati costretti a fuggire”, ha detto Ahounou.
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