Zuzan Mustafa ha le mani d’oro. Siriana fuggita in Giordania nel 2012, ha scoperto che riesce a trasformare quasi tutto ciò che è vecchio e consumato in qualcosa di bello, aiutando così a mantenere la sua famiglia e ricostruendo la propria vita.
Dopo aver lasciato il campo rifugiati di Za’atari, Zuzan si è trasferita con la famiglia nella capitale giordana, Amman. Nella sua casa produce fodere per cuscini che poi vengono vendute da IKEA nell’ambito di un progetto gestito dalla Jordan River Foundation, partner dell’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, che vende i prodotti anche nei suoi bazaar.
IKEA è partner della fondazione, che ha istituito programmi di formazione professionale e altre iniziative economiche e sociali in Giordania in risposta alla crisi siriana. Dati recenti raccolti dall’UNHCR in Giordania mostrano che nonostante molti rifugiati nelle aree urbane abbiano un lavoro, il rischio di cadere nella povertà per loro rimane molto alto.
Sotto: Zuzan racconta al giornalista e rifugiato siriano Hazm Almouzoni del suo lavoro e del senso di libertà che prova sapendo di poter sostenere la sua famiglia. Il suo racconto è stato modificato per maggiore chiarezza e brevità.
Le prime settimane dopo aver lasciato Za’atari sono state le più difficili, per la nostra famiglia. Avevamo solo un paio di materassi, qualche coperta, i nostri vestiti e qualche risparmio.
Era inverno e non ci potevamo permettere un appartamento ammobiliato. Ne abbiamo trovato uno poco costoso, vuoto. C’era anche della muffa sulle pareti. Mano nella mano con mio marito l’abbiamo ridipinto, abbiamo aggiustato quello che era rotto e abbiamo cominciato una nuova vita.
Mi servivano abiti caldi per i miei figli. Sono andata al bazaar dell’usato e ho comprato dei maglioni consumati, li ho disfatti e ne ho lavorati di nuovi, più moderni.
Lo sai, ai bambini piacciono i colori, perciò li portavo con me al bazaar a scegliere quelli che preferivano, così erano contenti.
A scuola, le insegnanti andavano pazze per quei maglioni, e mi hanno chiesto di farli anche per i loro figli. È così che ho avuto i primi ordini e ho cominciato a guadagnare.
In quel periodo mio marito, che è un maestro calzolaio, è rimasto senza lavoro per un paio di mesi. Doveva farsi conoscere dai suoi potenziali clienti, così ha comprato attrezzi e materiali e abbiamo cominciato a fare scarpe da donna a casa.
All’inizio lo aiutavo per curiosità. Lui non mi ha mai chiesto di aiutarlo, ma siamo sempre stati abituati a sostenerci l’un l’altra. In fondo siamo in un paese straniero, e non abbiamo nessun altro che ci sostenga. Non abbiamo parenti, e dovevamo lavorare tutti e due per mantenere la famiglia.
Ho imparato a fare le scarpe. A mio marito sono piaciute molto e mi ha incoraggiata a continuare. Ci siamo fatti conoscere al mercato dove lui vendeva le scarpe, e così ha ottenuto questo lavoro. Con tutto quello che guadagnavamo in più abbiamo comprato vecchi mobili a poco prezzo.
La parola mobili è esagerata per descrivere quello che abbiamo comprato. Era un mucchio di legno e metallo, dimenticato sotto la pioggia su un tetto.
Restaurare quei mobili a mano, con ago e filo, non è stato facile. Non avevo attrezzi, ma avevo le mani e la volontà. Così ho comprato nuove stoffe e ho rifatto le coperture. Così ho avuto due poltrone per un decimo del costo dei mobili nuovi.
Alle donne del quartiere piacevano i miei mobili, e nonostante mi abbiano detto molte volte che il calzolaio e il tappezziere sono lavori da uomini, mi hanno chiesto di rivestire anche le loro poltrone. La tappezzeria è diventata il mio terzo lavoro e una nuova fonte di reddito, e mi ha permesso di comprare una macchina da cucire.
A volte, quando le donne sentono che faccio la tappezziera, rimangono perplesse perché sono abituate a vedere degli uomini che fanno questo lavoro. Ma io credo che chiunque dovrebbe fare il lavoro che è fisicamente in grado di fare. Non esistono lavori maschili e lavori femminili.
Zuzan riesce a trasformare quasi tutto ciò che è vecchio e consumato in qualcosa di bello.
Questo le ha permesso, da rifugiata, di ricostruire la sua vita in Giordania.
Gli ultimi nove anni della mia vita hanno dimostrato una cosa che diceva sempre mia madre quando mi insegnava a cucire e a lavorare a maglia, da bambina: padroneggiare un’arte è come avere fra le mani una fortuna. Non sai mai quando quell’arte ti aiuterà a sopravvivere.
Tre anni fa sono stata assunta dalla Jordan River Foundation per ricamare cuscini che poi sarebbero stati venduti all’IKEA. Ora ho un lavoro sostenibile, sono iscritta alla previdenza sociale e mi sento molto più protetta.
Il mio lavoro consiste nel rendere il ricamo parte del processo di manifattura del cuscino. Ci sono poi altre donne per le altre fasi.
Mi piace molto questo lavoro, perché è adatto a me. Lavoro da casa ma è anche un impiego ufficiale, con tutti i benefici.
Anche se lo stipendio non è altissimo, avere un reddito stabile mi dà una cosa fondamentale nella mia vita da rifugiata, vale a dire un senso di sicurezza e di stabilità.
Quando penso che ci sono persone, da qualche altra parte del mondo, che usano con piacere i cuscini che ho contribuito a creare, sento che le mie capacità hanno significato e importanza.
Ora sono più indipendente, e contribuisco in modo sostanziale a soddisfare i bisogni economici della nostra famiglia.
Ora esisto.
Hazm Almouzoni ha preso parte di recente al Refugee Journalist Mentorship Programme dell’UNHCR, un progetto che mira ad aiutare i rifugiati, gli sfollati interni e gli apolidi a raccontare le storie più importanti del mondo di oggi.
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