Centinaia di migliaia di bambini, donne e uomini venezuelani cercano sicurezza oltre confine in Colombia.
Yuliany Ayala riflette sul futuro della sua famiglia mentre allatta il figlio di nove giorni, Andry Jesús, circondata da letti a castello in una stanza del centro dove i rifugiati e migranti più vulnerabili che arrivano ogni giorno dal Venezuela trovano protezione.
“Partire non faceva parte dei nostri piani, ma eccoci qui”, dice la ventiduenne venezuelana, arrivata un anno fa in questa città di confine nella regione desertica nord-orientale di La Guajira, in Colombia, con suo marito Adrián Vega e il figlio di quattro anni Diose.
Dopo che Ayala ha dato alla luce il suo secondo figlio, alla famiglia è stato temporaneamente offerto un rifugio nel centro per migranti e rifugiati da 60 letti gestito dalla Pastoral Social della Chiesa cattolica nel centro di Maicao, che un tempo era un tempo vivace centro commerciale.
Il rifugio è diventato un’ancora di salvezza per molti, ed è un esempio del tipo di risposte che governi, ONG e altri in tutta la regione hanno messo in atto per soddisfare i bisogni primari dei venezuelani costretti a lasciare il loro paese.
Come sta facendo a Maicao, l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sostiene i partner e i governi locali in tutta la Colombia e in tutta la regione per affrontare le crescenti esigenze dei venezuelani in fuga. I progetti spaziano dall’allestimento di mense e rifugi temporanei al rafforzamento delle risorse degli ospedali e al supporto alle strutture per l’infanzia.
L’UNHCR sta anche aiutando a identificare quegli individui, all’interno del più ampio esodo di venezuelani, che hanno bisogno di protezione internazionale, e si sta assicurando che tutti conoscano le loro opzioni per ottenere lo status legale nei paesi in cui si trovano.
“Anche se la maggior parte dei rifugiati e dei migranti ha urgenti bisogni umanitari come protezione, cibo e riparo, essere in grado di avere uno status regolare in Colombia è una priorità”, ha detto Jozef Merkx, Rappresentante UNHCR per la Colombia, un paese di circa 45 milioni di persone, che ospita circa un milione di venezuelani.
“Coloro che non hanno uno status regolare in Colombia sono più vulnerabili, e potrebbero diventare vittime di sfruttamento sessuale e lavorativo”, ha detto, aggiungendo che lo status legale garantisce loro molte delle stesse tutele e benefici dei cittadini.
Secondo le stime, 1,9 milioni di venezuelani sono stati costretti a lasciare il loro paese dal 2015, un numero significativo dei quali ha bisogno di protezione internazionale. Alcuni, come Ayala e Vega, affermano di non avere per ora piani di ritorno in Venezuela, paese che sta affrontando una difficile situazione socio-economica, politica e di diritti umani.
A causa della capacità di accoglienza limitata del centro di Maicao e del crescente numero di venezuelani che arrivano in Colombia, presto Ayala e la sua famiglia dovranno tornare a dormire in un rifugio senza pareti fatto di di palme essiccate distese su alcuni sedili d’auto che avevano preso da una discarica al loro arrivo.
La vita per Ayala, suo marito Vega e i loro figli è dura. La coppia, che ha lasciato la propria casa nella città venezuelana di Cabimas, distribuisce frutta e caffè per le strade di questa città di 270.000 persone. “Non guadagniamo molto, ma è abbastanza”, dice Ayala.
Il crescente numero di venezuelani che lasciano il loro paese ha portato a un aumento delle richieste di accoglienza al centro di Maicao durante i primi otto mesi dell’anno, secondo Jheimmy Naizzir, il coordinatore degli alloggi. Da gennaio ad agosto il centro ha ospitato 3.008 persone, rispetto alle 1.327 di tutto il 2017. Con il sostegno dell’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, il centro sta aumentando il numero di letti disponibili e aggiungendo una sala giochi per bambini, oltre a migliorare la distribuzione giornaliera dei pasti.
Liliana Paz, 55 anni, e il nipote Gleiber, 10 anni, hanno trascorso solo tre notti nel rifugio, e da tre mesi dormono su delle scatole di cartone in un parcheggio, dove pagano l’equivalente di 1 dollaro USA a notte. Ma vanno sempre al centro per colazione e pranzo.
“Ero così magra quando siamo arrivati che una saponetta poteva infilarsi qui”, dice Paz mostrando la sua ossuta clavicola sinistra. È grata per i pasti fatti al centro e dice che sia lei che il nipote, che ha l’epilessia, hanno messo su peso. Il ragazzo ha ora accesso alle cure mediche di cui ha bisogno.
Ciò che Sarah Ramírez, 33 anni, aveva bisogno di trovare era un posto sicuro e lontano da minacce e molestie. Ramirez ha chiesto lo status di rifugiata in Colombia, per cercare protezione ed evitare il rimpatrio. “Prendere la decisione di andarsene non è stato facile”, ha detto Ramírez, accarezzando l’animale domestico di famiglia, un coniglio di nome Kestrell che ha attraversato il confine con loro. “Per noi è impossibile tornare”, dice.
Domenica 7 ottobre, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, ha iniziato una missione di otto giorni in Colombia, Argentina, Perù ed Ecuador per identificare in prima persona i bisogni dei rifugiati e dei migranti venezuelani e di coloro che li hanno accolti nella regione.
Più di 346.000 venezuelani hanno richiesto lo status di rifugiato in America Latina, Europa e Stati Uniti dal 2014. Un numero due volte maggiore di venezuelani ha ricevuto altre forme di permessi di soggiorno, che consentono di risiedere in altri paesi, con accesso al lavoro e ai servizi sociali.
In Colombia, c’è stato un censimento nazionale dei venezuelani che vivono nel paese. Gli oltre 442.000 venezuelani registrati nel processo, supportato dall’UNHCR e dall’OIM, sono ora in procinto di ricevere un permesso speciale che consentirà loro di lavorare legalmente e di accedere ai servizi di base per due anni.
Il censimento ha cambiato la vita di Vanesa Vargas. Vanesa, una parrucchiera di professione, prima di ottenere il suo permesso speciale non riusciva a trovare un lavoro stabile. “Ero sfruttata, mi è stato chiesto di lavorare molte ore al giorno, per meno del salario minimo”, dice. Ora guadagna il doppio di prima e ha tutti i benefici. La donna arrotonda le sue entrate vendendo acqua e caramelle sul lato colombiano del valico di confine tra Ureña, in Venezuela, e Cúcuta, in Colombia.
Ma molti venezuelani che arrivano in Colombia scelgono di spostarsi dalle città di confine, perchè qui le opportunità diminuiscono e gli episodi di xenofobia aumentano. Ai valichi di frontiera le compagnie di autobus e tour offrono biglietti diretti per città colombiane come Bogotà, Medellin e Cali, o oltre, in Ecuador, Perù e Cile. Molti rifugiati e migranti, tuttavia, non possono permettersi il prezzo del biglietto dell’autobus e scelgono di intraprendere un estenuante viaggio a piedi.
Andreína Escalona, 34 anni, ha trascorso cinque mesi a Cúcuta, una città di confine, facendo lavori saltuari con turni dalle sei alle nove ore per i quali veniva pagata 6.000 pesos colombiani (circa 2 dollari USA) al giorno. “Sentivo che si stavano approfittando del mio stato di necessità”, dice. Quel poco che guadagnava, lo inviava ai sei figli a Barlovento, in Venezuela, il più piccolo dei quali ha meno di un anno.
In una recente giornata insolitamente nuvolosa, lei e il suo compagno Jeancarlos Cisneros, 40 anni, sono partiti a piedi per percorrere i 604 chilometri della strada a due corsie che si snoda da Cúcuta, attraverso un alto passo di montagna andino, fino a Bogotá. Diverse centinaia di venezuelani percorrono ogni giorno questa strada preparandosi con cibo e kit di pronto soccorso della Croce Rossa colombiana. Escalona sa che non sarà una passeggiata.
“Ma per i miei figli andrei ovunque”, dice.
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