In tutto il mondo, le donne e le ragazze costrette a fuggire stanno sopportando il peso del deterioramento delle economie, dell’aumento dei prezzi e della mancanza di fondi per le risposte umanitarie.
Roda Jock*, una rifugiata sud-sudanese di 28 anni fuggita nella regione etiope di Gambella nel 2018, non si sarebbe avventurata nella foresta da sola se a casa ci fosse stato cibo sufficiente per lei e la sua famiglia. Ma la carenza di fondi ha visto ridurre del 50% l’assistenza alimentare mensile per oltre 750.000 rifugiati in Etiopia da giugno.
“Nel campo, il cibo non è sufficiente, quindi l’unica opzione per alcune donne è andare nella foresta a raccogliere legna da vendere”, ha spiegato Roda.
La legna da ardere è spesso l’unica fonte di combustibile a disposizione dei rifugiati per cucinare le loro razioni di cibo.
“Come donne, dobbiamo affrontare molti rischi nella foresta. Bisogna camminare per almeno quattro ore per arrivare in un luogo molto lontano dove si può raccogliere la legna da portare a casa”.
Quel giorno, durante la lunga camminata verso la foresta, Roda è stata seguita da un uomo che le ha teso un’imboscata e l’ha trascinata per terra. Lei è riuscita a sfuggire alla sua presa, ma lui l’ha inseguita finché Roda non si è imbattuta in un gruppo di uomini che l’ha poi scortata fino al campo.
Nonostante sia riuscita a sfuggire all’aggressore, si sente ancora traumatizzata dall’incidente, che l’ha fatta sentire impotente.
“Questo non è un caso isolato”, ha aggiunto. “Molte donne si sono trovate più volte in questo tipo di situazioni”.
Nel suo ruolo di operatrice comunitaria a sostegno delle persone sopravvissute alla violenza di genere per l’International Medical Corps (IMC), una delle organizzazioni partner dell’UNHCR in Etiopia, Roda ha incontrato donne che non sono riuscite a sfuggire ai loro aggressori. Alcune sono state violentate mentre raccoglievano legna da ardere, altre mentre camminavano da e verso le fattorie in cerca di lavoro.
“È a causa della carenza di cibo”, ha detto. “Se il cibo fosse disponibile a casa, le donne non avrebbero bisogno di [affrontare] tutti questi rischi”.
I rifugiati e gli sfollati interni in molti Paesi in cui opera l’UNHCR hanno visto ridursi l’assistenza alimentare e di altro tipo a causa della carenza di fondi che ha costretto le agenzie umanitarie a ridimensionare la loro assistenza. Grazie all’azione congiunta dell’UNHCR e del Programma Alimentare Mondiale, l’assistenza alimentare per i rifugiati in Etiopia aumenterà del 34% a partire dal mese prossimo, ma senza ulteriori finanziamenti, i rifugiati in altri Paesi potrebbero subire ulteriori tagli agli aiuti nei prossimi mesi e nel corso del prossimo anno, poiché gli effetti a catena della guerra in Ucraina interrompono le catene di approvvigionamento, gonfiano i prezzi di cibo e carburante e fanno lievitare i costi di fornitura dell’assistenza umanitaria.
L’impatto di questi tagli è avvertito dalle persone costrette a fuggire in tutto il mondo, ma le donne e le ragazze sono spesso le prime a soffrire. L’insicurezza alimentare era già più alta tra le donne che tra gli uomini. Questa disparità di genere è aumentata nel 2020 durante la pandemia di COVID-19 e si è ulteriormente ampliata nel 2021, secondo il rapporto globale annuale sulla sicurezza alimentare e la nutrizione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. In molti Paesi che ospitano rifugiati, le economie non hanno avuto la possibilità di riprendersi prima che la guerra in Ucraina causasse un’ulteriore inflazione e un aumento dei prezzi dei generi alimentari.
I lockdown e la recessione economica hanno anche aumentato l’incidenza della violenza di genere, in particolare tra le popolazioni rifugiate e sfollate.
Le donne tendono a dare la priorità ai bisogni dei figli e degli altri membri della famiglia rispetto ai propri e possono mettersi in pericolo quando cercano di trovare un lavoro o un reddito. La carenza di cibo può anche aumentare le tensioni in casa, portando a tassi più elevati di violenza da parte del partner. Le donne costrette a fuggire, che hanno un accesso limitato alle reti di sicurezza sociale, alle informazioni e al lavoro, hanno maggiori probabilità di rimanere intrappolate in relazioni con partner violenti.
“Direi che l’80% delle donne con cui lavoriamo sono sopravvissute a un qualche tipo di violenza di genere… Il fatto di spostarsi da un Paese all’altro peggiora la situazione, perché rende le donne molto più vulnerabili e dipendenti”, ha dichiarato Gloria Padilla, 47 anni, colombiana, madre di due figli, che si è trasferita in Venezuela nel 2003 per sfuggire a una relazione violenta, ma è tornata nel suo Paese nel 2017. Oggi è a capo dell’organizzazione Fundación Un Nuevo Ser, che sostiene le donne venezuelane rifugiate e migranti, nonché le colombiane rimpatriate, in diverse città della Colombia nord-occidentale.
Ha detto che molte delle donne con cui lavora sentono di non avere altra scelta se non quella di rimanere in una relazione violenta, perché temono di non essere in grado di mettere il cibo in tavola o di pagare l’affitto se se ne vanno. Ha aggiunto che l’aumento dell’inflazione sta peggiorando il problema. “Se la maggior parte delle donne con cui lavoriamo guadagnava già salari al di sotto degli standard, o riusciva a malapena a sbarcare il lunario vendendo caffè o altri prodotti per strada, l’aumento dei prezzi non ha fatto altro che rendere ancora più difficile la loro sopravvivenza, il che ovviamente rende ancora più difficile per loro liberarsi dalle relazioni di abuso”.
Il tipo di lavoro informale che le donne venezuelane rifugiate e migranti, molte delle quali prive di documenti, sono in grado di assicurarsi in Colombia aumenta anche il loro rischio di esposizione alla violenza di genere.
“Alcune donne si trovano in circostanze così difficili che entrare in una relazione abusiva o prostituirsi sembra l’unica via d’uscita”, ha detto Gloria, aggiungendo che la sua organizzazione cerca di intervenire e fornire sostegno affinché le donne non siano costrette a fare scelte così dannose.
“Alla Fundación Un Nuevo Ser, facciamo leva sulla nostra forza numerica per cercare di aiutare. Nessuno di noi ha molto, ma se tutti mettiamo un po’, a volte riusciamo a raccogliere abbastanza denaro per aiutare qualcuno a uscire da una situazione molto difficile”, ha detto Gloria, riconoscendo che l’inflazione ha intaccato la capacità del gruppo di aiutare.
Sebbene la necessità di programmi per affrontare la violenza di genere che colpisce le persone costrette a fuggire non sia mai stata così forte, i finanziamenti non tengono il passo. L’UNHCR stima che il fabbisogno di bilancio per i suoi programmi di prevenzione e risposta alla violenza di genere sia di 330 milioni di dollari nel 2023, il più alto in assoluto.
In Sudan, un altro Paese in cui l’assistenza alimentare ai rifugiati è stata tagliata del 50% negli ultimi mesi, la mancanza di fondi sta avendo un forte impatto sui programmi contro la violenza di genere, secondo Alisona Rajbanshi, responsabile della protezione presso l’UNHCR a Khartoum.
“È difficile fornire una copertura geografica completa per la prevenzione e la risposta alla violenza di genere”, ha dichiarato. “I servizi di supporto psicosociale per le sopravvissute sono stati colpiti in alcune località. Mancano case sicure per le sopravvissute”.
Nel campo rifugiati di Um Rakuba, nel Sudan orientale, aperto alla fine del 2020 per ospitare i rifugiati etiopi in fuga dal conflitto nel Tigray, la mancanza di finanziamenti adeguati per i servizi di sostegno alle sopravvissute alla violenza di genere ha conseguenze per le donne che hanno bisogno di protezione.
“Ogni giorno assistiamo a violenze fisiche tra marito e moglie – per i soldi, per la situazione, per la vita”, ha detto Bisrat Kifle, 26 anni, ex insegnante di inglese del Tigray, volontaria in un centro per donne del campo gestito da Alight, partner dell’UNHCR.
“La prima cosa che la maggior parte delle sopravvissute alla violenza di genere chiede è un rifugio d’emergenza”, ha detto. “Quando litiga con l’autore della violenza… ha paura di rimanere in quello spazio. Ha bisogno di uno spazio sicuro”.
Oltre a organizzare sessioni di sensibilizzazione e a indirizzare le donne a una delle agenzie umanitarie del campo che lavorano con le sopravvissute, Bisrat e altre volontarie ascoltano le preoccupazioni delle donne, offrendo loro sostegno e una spalla su cui piangere.
“Le ascoltiamo con attenzione e rispetto”, ha detto Bisrat. “Se vogliono piangere, le lasciamo piangere. Non possiamo promettere nulla perché se facciamo una promessa, feriamo i loro sentimenti se non viene mantenuta”.
“Se ricevessero la razione completa, tutto andrebbe meglio”, ha aggiunto. “È difficile stare bene se si è stati costretti a lasciare il proprio Paese, la propria casa. È difficile dire che tutto andrà bene, ma potrebbe essere meglio di così”.
*Nome cambiato per motivi di protezione.
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