In Thailandia, i volontari aiutano le minoranze etniche apolidi ad affrontare il complesso processo di richiesta della cittadinanza.
Nata da una madre di nazionalità thailandese e da un padre apolide, è stata abbandonata da piccola e la sua nascita non è mai stata registrata, lasciandola senza uno status legale nel Paese in cui è nata. È stata cresciuta dalla nonna e dallo zio, anch’essi apolidi.
La Thailandia ha una popolazione registrata di oltre mezzo milione di apolidi, una delle più numerose al mondo. Quasi un quarto di loro vive a Chiang Mai. Sono per lo più membri di minoranze etniche indigene provenienti dalle zone montuose di confine. La registrazione consente loro un certo accesso all’istruzione, al lavoro e all’assistenza sanitaria, anche se la possibilità di viaggiare tra le province è limitata. Tuttavia, c’è un numero imprecisato di apolidi, come Meepia, che non sono registrati e devono affrontare ulteriori difficoltà per accedere ai loro diritti fondamentali all’istruzione, al lavoro e all’assistenza sanitaria.
Meepia è stata costretta a lasciare la scuola dopo la seconda elementare e in seguito ha potuto trovare solo lavoro nell’agricoltura, per cui riceveva al massimo cento baht (meno di 3 dollari) al giorno. Era terrorizzata all’idea di avventurarsi fuori dal suo villaggio dopo essere stata fermata a un posto di blocco della polizia e multata perché non aveva un documento d’identità. Quando il marito, anch’egli apolide, è riuscito a ottenere la cittadinanza, i figli hanno potuto rivendicare la nazionalità del padre, ma non Meepia.
“È stato estremamente difficile”, sospira. “A volte mi sentivo scoraggiata e mi chiedevo perché non avessi le stesse cose di tutti gli altri”.
La Thailandia ha aderito alla campagna #IBelong dell’Agenzia ONU per i Rifugiati, l’UNHCR, per porre fine all’apolidia entro il 2024 e ha gradualmente riformato le leggi sulla nazionalità e sulla registrazione civile per rendere più facile per le persone rivendicare la propria cittadinanza e i propri diritti. Dal 2008, oltre 100.000 apolidi hanno acquisito la cittadinanza thailandese. Tuttavia, nella pratica, le procedure sono spesso di difficile accesso, burocratiche e complesse.
Quando Meepia aveva 30 anni, per un colpo di fortuna, qualcuno del suo villaggio incontrò sua madre nella vicina provincia di Chiang Rai. Senza esitare, Meepia ha colto l’occasione per iniziare il processo di richiesta della cittadinanza. Ha trovato il coraggio di contattare la madre e chiederle di fare il test del DNA che avrebbe dimostrato la loro parentela. Poi ha raccolto tutti i documenti che aveva e si è recata all’ufficio distrettuale a 17 chilometri di distanza – un grosso rischio in quanto apolide non registrata.
Ma dopo tre anni di attesa, la sua domanda non è stata accettata e le è stato detto di ricominciare la procedura nella provincia di sua madre, a centinaia di chilometri di distanza.
La storia di Meepia ha fatto il giro del suo villaggio ed è arrivata alle orecchie di Meefah Ahsong, una volontaria per Legal Community Network (LCN) e Legal Advocacy Walk (LAW), due ONG di base che lavorano a fianco dell’UNHCR per sostenere le persone nel processo di richiesta dello status giuridico e della nazionalità.
“Sono analfabeta. Sapevo abbastanza da capire cosa fossero certi documenti, ma non li capivo al 100%”, racconta Meepia. “Meefah mi ha chiamato e mi ha detto che la sua organizzazione poteva aiutarmi”.
Meefah era stata lei stessa apolide e conosceva bene le difficoltà che Meepia stava affrontando. Meefah fa parte dei circa 20-30 volontari della comunità nei villaggi etnici di cinque distretti di Chiang Mai che sono gli eroi non celebrati che lavorano per porre fine all’apolidia in Thailandia. Tutti precedentemente apolidi, vengono nominati da altri abitanti del villaggio e poi formati da LCN e LAW sulle leggi sulla nazionalità, su come raccogliere informazioni e su come lavorare con i funzionari governativi presso gli uffici distrettuali.
Meefah ha aiutato Meepia a sbrigare le pratiche e l’ha accompagnata allo stesso ufficio distrettuale, ma questa volta con un supporto.
“Meefah mi ha detto di portare anche mia madre, così l’ho chiamata per farla venire”, ha ricordato Meepia. “Il giorno in cui Meefah ha portato con sé l’anziano del mio villaggio, altri volontari dell’ONG e persino i funzionari del Dipartimento dell’Amministrazione Provinciale, sono riuscita a registrarmi nel sistema”.
Meepia ha finalmente ottenuto la cittadinanza thailandese nell’agosto di quest’anno, all’età di 34 anni.
Meefah definisce “una benedizione” aiutare altri membri della sua comunità a ottenere la cittadinanza.
“Sono felice che abbiano una nuova vita, un lavoro migliore e l’accesso alla copertura sanitaria”, dice. “Voglio che gli abitanti dei villaggi apolidi siano più consapevoli dei diritti che spettano loro”.
Per quanto riguarda Meepia, spera che la cittadinanza conquistata con fatica le apra le porte di opportunità di lavoro presso i numerosi hotel della regione, che prima non l’avrebbero assunta senza un documento d’identità. Dice anche che il suo status ufficiale le ha dato una nuova fiducia.
“Il giorno in cui ho tenuto in mano la carta d’identità thailandese, ho provato felicità e grande sollievo. Anche se sono ricca come altri, ora ho i loro stessi diritti. Non devo più vivere nella paura”.
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