Lo schermidore in sedia a rotelle Amelio Castro Grueso ha lottato a lungo e duramente per raggiungere i Giochi Paralimpici di Parigi 2024 come membro della Squadra Paralimpica dei Rifugiati.
In una palestra che si affaccia sul fiume Tevere a Roma, Amelio Castro Grueso si sta allenando puntando la spada, un tipo di lama per la scherma, contro un immaginario avversario, mentre è legato ad una sedia a rotelle sportiva. Il resto del suo allenamento include una dura sessione di stretching, trazioni alla sbarra e sollevamento pesi, con solo brevi pause mentre altri atleti si fermano per incoraggiarlo.
Alcuni dei più grandi atleti italiani si sono allenati in questa palestra del Dipartimento di Atletica della Polizia di Stato, tra loro la stella nazionale della scherma paralimpica Bebe Vio. Amelio spera di diventarlo anche lui insieme a loro quando gareggerà ai Giochi Paralimpici di Parigi 2024 questa settimana.
“Penso che ce la farò”, dice. “Otterrò la medaglia paralimpica.”
Amelio è arrivato all’aeroporto di Roma nel cuore della notte due anni fa, dopo essere stato costretto a fuggire dal suo Paese. Non conosceva nessuno e non aveva un posto dove andare, ma era determinato a non rinunciare allo sport che lo aveva aiutato a riprendersi da uno dei periodi più difficili della sua vita.
Sua madre aveva lavorato duramente per garantire a lui e ai suoi cinque fratelli e sorelle di andare a scuola e avere una vita migliore, ma è morta quando Amelio aveva solo 16 anni. Negli anni successivi alla sua perdita, Amelio ha cercato di perseguire quella vita migliore che lei aveva sognato per lui, ma la situazione nel suoPaese era difficile e i suoi piani si sono fermati quando ha avuto un incidente d’auto ed è rimasto paralizzato dalla vita in giù.
Ha trascorso i successivi quattro anni in ospedale, durante i quali la sua famiglia ha gradualmente smesso di fargli visita fino a quando ha perso completamente i contatti con loro. “Fingevo di non preoccuparmi, ma mi faceva male dentro. In quel momento, ho trovato la fede in Dio, ed è questo che mi ha tenuto in piedi”, ricorda Amelio.
Dopo essere stato dimesso dall’ospedale e aver terminato la riabilitazione, ha visitato una palestra e si è imbattuto in una partita di scherma. Ha deciso di provare con quello sport e quando ha vinto la prima partita mai giocata, è stato come un segno che doveva continuare a giocare. “Dal primo giorno in cui mi sono connesso a questo bellissimo sport, ne sono rimasto affascinato.”
Amelio ha capito il potere dello sport ed era determinato a usarlo per aiutare altri giovani come lui, raggiungendo il livello più alto possibile nella scherma e diventando un modello. “Stavo pianificando di scrivere un libro sulla mia storia, ma poi ho pensato: “Perché gli altri dovrebbero leggerlo? Solo perché sono paralizzato? Avevo bisogno di una ragione migliore affinché le persone ascoltassero quello che avevo da dire.”
E poi il duro lavoro ripaga
A Roma, ha fatto domanda d’asilo e ha trascorso sei mesi in un rifugio per senzatetto prima di incontrare Daniele Pantoni, un allenatore del Dipartimento di Atletica della Polizia di Stato italiana.
“La mia vita è cambiata. L’allenatore e gli altri atleti sono diventati la mia famiglia. Anche quando tutto il resto all’esterno non andava bene, andavo al centro di allenamento ed ero felice”, dice.
Per raggiungere la palestra dove si allena deve percorrere un tragitto di oltre un’ora, con i mezzi pubblici che non sono sempre attrezzati per le persone con disabilità. “A volte l’autobus ha una rampa per la sedia a rotelle, ma più spesso non ce l’ha. Passo alla metro, e la mia fermata non ha un ascensore funzionante, quindi prendo l’ascensore e tengo duro”, dice. “Non è facile, ma se vuoi qualcosa molto intensamente allora nulla può fermarti.”
A maggio, il suo duro lavoro ha dato i suoi frutti quando ha vinto la medaglia d’oro al torneo italiano di scherma paralimpica in carrozzina. Poco dopo, il Comitato Paralimpico Internazionale (IPC) ha annunciato che Amelio si era qualificato per competere come parte della Squadra Paralimpica dei Rifugiati composta da otto persone ai Giochi di Parigi 2024.
“Avere una squadra di rifugiati è una cosa molto bella perché ci permette di sentirci più umani”, dice. “Ti senti davvero parte di una comunità, e sono orgoglioso di essere tra loro.”
Il messaggio di Amelio agli altri rifugiati è chiaro: “Puoi farcela. Se io ce l’ho fatta, anche senza le necessarie condizioni o anche senza gambe, puoi farcela più di quanto ho fatto io.”
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