Le mamme in fuga dalle violenze nella Repubblica Democratica del Congo trovano un rifugio sicuro con i loro figli in Sud Sudan, che ha tenuto i suoi confini aperti ai rifugiati durante la pandemia di coronavirus.
Quando degli uomini armati hanno attaccato il suo villaggio a Naweneangwa, nella Repubblica Democratica del Congo, l’istinto materno di Marie Moses le ha gridato: “Scappa! Metti in salvo i tuoi figli!”
Madre di cinque figli, incinta, non poteva aspettare che il marito tornasse dai campi. Ha così radunato i figli ed è scappata nella vicina boscaglia insieme a decine di vicini di casa. Mentre affrontava un viaggio disperato per raggiungere la salvezza nel vicino Sud Sudan, Marie è inorridita quando si è resa conto che solo quattro dei suoi figli erano presenti. Dov’era Mborikino, di soli 11 anni?
Marie ha cercato freneticamente suo figlio, ma non di lui non c’era traccia. Così per mettere al sicuro gli altri suoi figli, incluso quello che portava in grembo, ha preso la dolorosa decisione di continuare il viaggio. Esausta e affamata, la famiglia ha raggiunto cinque giorni dopo una parte remota della contea di Yambio, nello stato dell’Equatoria Occidentale del Sud Sudan, insieme a quasi 200 altri rifugiati.
Il personale dell’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, insieme ad altri partner ha assistito i nuovi arrivati. Quando un membro dello staff dell’UNHCR ha chiesto a Marie quanti figli avesse, lei ha pensato a Mborikino con infinita tristezza, temendo che fosse morto.
“Quattro… e uno in arrivo”, ha risposto Marie, guardando il suo pancione.
Giorni dopo, Marie ha dato alla luce un bambino sano, mentre era in quarantena. Sebbene fosse grata per il parto sicuro, la sua mente era ancora concentrata sul figlio scomparso: si era semplicemente perso o la sua peggiore paura sarebbe stata confermata?
Come Marie, anche la futura mamma Suzana Mbogoregu, 34 anni, è dovuta fuggire. Suo marito Fidele stava assistendo ad una sepoltura quando le milizie armate hanno attaccato il loro villaggio. A otto mesi di gravidanza sapeva che doveva salvare se stessa e il suo bambino non ancora nato.
Dopo aver compiuto il lungo viaggio verso il Sud Sudan, Suzana ha dato alla luce la sua bambina in quarantena, pochi giorni dopo il suo arrivo. Anche lei è grata per aver avuto un bambino sano, ma la nascita è stata agrodolce senza suo marito accanto. Eppure non si pente della sua decisione di fuggire.
“Non voglio tornare indietro. Qui siamo più al sicuro”, ha detto, aggiungendo che ha saputo da altri nuovi arrivati che suo marito si trova al sicuro.
Il Sud Sudan ha chiuso le frontiere a fine marzo per precauzione contro il COVID-19, ma ha comunque continuato ad accogliere le persone in fuga dal conflitto. Da gennaio, oltre 2.100 rifugiati sono arrivati dal Sudan, dalla RDC e dalla Repubblica Centrafricana, la maggior parte dei quali donne e bambini. Tutti gli arrivi vengono immediatamente posti in quarantena per 14 giorni, secondo le linee guida nazionali contro il COVID-19.
Dopo il periodo di quarantena, Marie e altri rifugiati si sono preparati per essere trasferiti dalla struttura di quarantena al campo rifugiati di Makpandu, che ospita quasi 5.000 rifugiati.
Il giorno del trasferimento, Marie ha individuato un volto familiare tra la folla: suo figlio Mborikino.
Mborikino ha raccontato a sua madre che l’aveva persa di vista durante la confusione della fuga. Rendendosi conto che era stato separato dalla sua famiglia, si era nascosto nella boscaglia con dei vicini per quattro giorni senza cibo né riparo, per poi seguire i gruppi di abitanti del villaggio in fuga. Lungo la strada, aveva saputo che sua madre e i suoi fratelli erano vivi in Sud Sudan e aveva supplicato alcuni adulti di aiutarlo ad attraversare il confine e trovarli.
“Sono felice di aver preso la decisione di salvare i bambini” ha detto Marie con immense sollievo. “Almeno qui siamo al sicuro.”
Nur Issak Kassim, capo dell’ufficio UNHCR a Yambio, ha sottolineato la generosità del Sud Sudan nell’accogliere i rifugiati, in un momento in cui il Paese è alle prese con la propria crisi di sfollati – quasi 1,7 milioni di sud sudanesi sono sfollati interni – e la pandemia di COVID-19.
“In questo momento molto critico, quando qualcuno cerca aiuto, è ancora più essenziale fare il possibile senza esitazione”, ha detto Kassim. “Questo è esattamente ciò che ha fatto il Sud Sudan, consentendo ai rifugiati di trovare protezione in questo Paese. È la cosa giusta da fare.”
Kassim ha aggiunto che, mantenendo aperti i suoi confini, il Sud Sudan ha fatto in modo che l’UNHCR e le altre agenzie umanitarie potessero continuare a fornire assistenza vitale agli sfollati.
“Abbiamo accolto con entusiasmo la nascita dei bambini in quarantena e il fatto che le loro madri potessero portare una nuova vita in un ambiente sicuro”, ha aggiunto. “Esiste un simbolo migliore di speranza per superare le sfide di questi tempi?”.
Finora il Sud Sudan ha confermato più di 2.400 casi di COVID-19. Per mitigare la diffusione del nuovo coronavirus, l’UNHCR, il governo e il partner World Vision International stanno lavorando per mantenere i rifugiati e le comunità che li ospitano al sicuro.
“La nostra esperienza con l’Ebola nella RDC e in Sud Sudan ci ha preparato a rispondere a questi arrivi, poiché le misure precauzionali contro queste malattie sono simili”, ha spiegato Chan Gatluak Deng, coordinatore per la salute e la nutrizione di World Vision International.
Gli operatori sanitari sono stati dotati di tutti i dispositivi di protezione personale e sono stati addestrati per garantire che tutte le linee guida e le misure precauzionali siano osservate sia alle frontiere, sia nei campi in cui i nuovi arrivati vengono trasferiti. Ciò include il controllo della temperatura e il monitoraggio della nutrizione e della salute generale dei bambini sia in quarantena che e una volta trasferiti nei campi.
A Makpandu, Marie e Suzane si stanno lentamente adattando alle loro nuove vite. Hanno un riparo e i loro figli sono sani. Le due madri sperano di avere la possibilità di un futuro migliore.
“Mi manca casa perché la vita era bella prima dell’attacco”, ha detto Marie. “Mi preoccupo dei vestiti per me e per i miei figli e spero di poter ottenere della terra da coltivare per poter guadagnare un po’ di soldi e prendermi cura di loro”.
Ulteriori informazioni da Catherine Wachiaya a Nairobi, Kenya.
Condividi su Facebook Condividi su Twitter