Monicah Malith è fuggita dal conflitto in Sud Sudan da bambina e si è trasferita in Kenya, dove ha superato le sfide per continuare la sua istruzione e ora è una studentessa di giurisprudenza, oltre che la prima donna rifugiata presidente dell’Associazione studentesca dell’Università di Nairobi.
Da giovane rifugiata, ho affrontato molte sfide nel mio percorso di studi, ma con determinazione, resilienza e duro lavoro ho superato queste difficoltà personali.
Nella mia vita ci sono state difficoltà devastanti – inclusa la perdita di mio padre durante gli esami della scuola superiore, le difficoltà sempre presenti per sostenere le tasse scolastiche e la continua pressione per acconsentire ad un matrimonio forzato, ma anche speranza e opportunità.
Credo che condividere le mie esperienze possa dare forza ad altre ragazze rifugiate che affrontano sfide e battute d’arresto come le mie e che possono scoprire che l’istruzione è la chiave per trasformare la propria vita, liberarsi da vincoli sociali imposti e diventare padrone del proprio futuro.
Da bambina cresciuta in Sud Sudan, non conoscevo altra vita che quella del pastore. Mio padre aveva una mandria di mucche ed eravamo sempre in movimento alla ricerca di pascoli e acqua. Ma c’era anche la guerra e quando i combattimenti si fecero più intensi, fui mandata nella capitale Juba con altri bambini piccoli.
Avevo solo 12 anni, ma secondo la tradizione mi sarei dovuta sposare presto. C’erano già quattro uomini in attesa. Fortunatamente per me, proprio in quel momento mia zia decise di fuggire in Kenya in cerca di riparo e sicurezza dal conflitto in corso e mio padre mi lasciò andare con lei per aiutarla nelle faccende domestiche. A quel tempo l’istruzione non era nemmeno un mio sogno.
Ci sono voluti tre giorni su un camion carico di casse per raggiungere il campo rifugiati di Kakuma e da lì siamo andati a Eldoret. Ricordo vividamente la data del mio arrivo: era una domenica mattina, le 10 del mattino del 13 luglio 2008.
Quando, un anno dopo, mi sono iscritta alla scuola elementare, ero la più grande della mia classe, parlavo solo la mia lingua madre, non sapevo scrivere il mio nome e non sapevo nemmeno contare fino a 10! Ma ero determinata, ho lavorato duro e presto ho recuperato. Alla fine dell’anno ero la prima della classe.
Con l’aggravarsi della crisi in Sud Sudan, le difficoltà economiche hanno reso difficile continuare a pagare le tasse scolastiche, mentre la pressione sociale e culturale al matrimonio è diventata insopportabile man mano che crescevo: tornavo a casa da scuola e trovavo numerosi uomini che avevano visitato mia zia per chiedermi in moglie, ma io desideravo continuare i miei studi.
Un uomo si offrì di pagarmi le tasse scolastiche e sentii di aver trovato qualcuno che teneva davvero ai miei studi, ma poi mi disse che in cambio avrei dovuto sposarlo. Mi sono sentita tradita e ingannata e ho rifiutato la sua proposta, anche se a volte ho pensato che sarebbe stato più facile essere sposata e avere qualcuno che provvedesse a me. Attraverso un gruppo di conoscenti della chiesa che frequentavo, sono riuscita a trovare uno sponsor e ho lavorato duro fino al liceo, ma poco prima degli esami finali mio padre si è ammalato gravemente. Perdere mio padre è stato terribile.
Non avevo nessuno che mi sostenesse. In tutto quel dolore, ho fatto appello a tutte le mie forze per onorare la sua memoria e finire con successo i miei esami.
Nel mio sogno di poter andare all’università, le borse di studio rappresentavano l’unico barlume di speranza per avere un sostegno finanziario e proteggere le giovani ragazze rifugiate come me dai matrimoni forzati, ma è arrivata la pandemia di COVID-19 e tutto è stato ritardato.
Ho sempre desiderato migliorare il sistema giudiziario nel mio paese, il Sud Sudan, quindi ho fatto domanda per studiare giurisprudenza all’Università di Nairobi. A metà del mio primo anno, ho sentito parlare della borsa di studio DAFI* sui social media. Ho subito fatto domanda e ho avuto la fortuna di essere selezionata. La borsa di studio mi ha dato tranquillità, sapendo che le mie tasse universitarie sarebbero state pagate, e mi ha liberato dall’idea che qualcuno pretendesse qualcosa in cambio della mia istruzione.
L’anno scorso sono stata eletta presidente dell’Associazione studentesca dell’Università di Nairobi, diventando la prima donna rifugiata a ricoprire l’incarico. In questo ruolo mi batto per un maggiore sostegno finanziario per gli studenti rifugiati e una maggiore gentilezza e apertura, perché tutti noi rifugiati abbiamo sofferto ostilità e traumi nelle nostre vite.
Il mio viaggio personale esemplifica la resilienza e la determinazione delle ragazze rifugiate e dimostra che rafforzandoci attraverso l’istruzione possiamo spezzare il ciclo delle difficoltà e fornire un percorso verso un futuro più luminoso. Se cogli ogni opportunità, niente e nessuno potrà impedirti di ottenere ciò che desideri.
* Il programma di borse di studio DAFI offre agli studenti rifugiati e rimpatriati qualificati la possibilità di conseguire una laurea nel paese di asilo o di origine.
La storia di Monicah è pubblicata nel Rapporto 2023 dell’UNHCR sull’istruzione dei rifugiati, che raccoglie dati provenienti da più di 70 paesi per fornire il quadro più chiaro finora dello stato dell’istruzione e dell’iscrizione dei rifugiati a livello globale.
Condividi su Facebook Condividi su Twitter