L’UNHCR e il suo partner CESVI offrono un aiuto in grado di cambiare la vita dei molti rifugiati e richiedenti asilo che in Libia hanno bisogno di sostegno psicosociale dopo anni di conflitto e di insicurezza.
Ma il peggio è arrivato a novembre dell’anno scorso. Suo marito è stato portato a casa dopo essere stato trovato insanguinato e mezzo nudo per strada. Era stato torturato e trattenuto dai miliziani in una struttura chiusa, prima di essere rilasciato con lividi e tagli su tutto il corpo. Da allora, dice Yusra, parla a malapena e non esce quasi mai di casa.
L’esperienza ha lasciato Yusra terrorizzata e con un persistente senso di paura al pensiero che tutta la sua famiglia potesse essere in pericolo. Si è rivolta a un centro comunitario diurno di Tripoli gestito dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, in cerca di aiuto.
“Ero in una situazione molto brutta. Qui ho ricevuto aiuto e sostegno”, ha spiegato Yusra. “Avevo toccato il fondo quando sono arrivata; ma ora mi sento come risollevata, come se fossi rinata. Ero a terra, ma ora sono molto più forte”.
Yusra è tra oltre 200 rifugiati e richiedenti asilo che quest’anno hanno ricevuto sostegno per la salute mentale e psicosociale dal partner dell’UNHCR, il CESVI. L’assistenza comprende sessioni individuali e consulenza di gruppo.
Dopo anni di conflitto e instabilità, la domanda di servizi di salute mentale in Libia è alta, ma mancano servizi pubblici specializzati per soddisfare le esigenze. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che fino a un quinto della popolazione totale possa soffrire di una condizione di salute mentale.
I rifugiati e i richiedenti asilo in Libia sono particolarmente vulnerabili, poiché molti sono stati vittime di tratta, hanno subito violenze fisiche o sessuali e hanno trascorso lunghi periodi di detenzione, dove le condizioni sono terribili e gli episodi di abusi sono ben documentati.
Il marito di Yusra sta ricevendo una consulenza individuale per aiutarlo a superare il trauma, ma le sue condizioni sono considerate ancora troppo gravi per partecipare alle sessioni di gruppo. La stessa Yusra, a cui è stato diagnosticato un disturbo da stress post-traumatico, ha detto di aver trovato le sessioni di gruppo particolarmente utili.
“Mi aiutano a liberare l’energia negativa e i sentimenti che provo”, ha detto. “Grazie al medico e alle interazioni con gli altri, in cui condividiamo esperienze, mi sento più fiduciosa. Sento dei benefici dopo aver ascoltato le esperienze degli altri”.
“Una cosa che ho imparato dal medico è che quello che è nel passato è successo”, ha aggiunto Yusra. “Naturalmente non lo dimenticheremo, ma non dobbiamo rimuginare. Lo usiamo come lezione, perché potremmo dover affrontare altre difficoltà nella nostra vita, [ma] dobbiamo pensare a cosa ci porterà il domani”.
Yusra ha detto che la consulenza ha anche migliorato i suoi rapporti a casa. “Mi ha aiutato con i miei figli. Prima piangevo o mi arrabbiavo con loro, ma ora non ho più scatti d’ira. Sono diventata una persona diversa”, ha detto.
Hamida*, una psicologa clinica che lavora con il CESVI, ha detto che la consulenza psicosociale e i servizi per la salute mentale possono essere di grande aiuto per i rifugiati e i richiedenti asilo in Libia, che hanno affrontato molte sfide sia durante il viaggio che nel paese.
“Sicuramente la maggior parte dei rifugiati ha bisogno del nostro aiuto”, ha detto Hamida. “Hanno attraversato situazioni molto difficili. Anche se non hanno sperimentato personalmente la violenza, l’hanno vista. Influisce sul loro comportamento, sul loro modo di pensare”.
È particolarmente soddisfatta dei progressi compiuti durante le sessioni di gruppo, che organizza con attenzione, riunendo persone della stessa nazionalità ed età che vivono situazioni simili nella loro vita quotidiana.
A seguito della pandemia di COVID-19, Hamida ha dovuto dividere le sue precedenti sessioni in due gruppi per garantire il distanziamento fisico. I partecipanti devono indossare mascherine e farsi misurare la temperatura quando entrano nel centro della comunità, e viene fornito anche un disinfettante per le mani.
“Indipendentemente da ciò che stanno soffrendo, sia esso lieve o grave, è più facile affrontare il dolore o la tristezza se viene condiviso in un gruppo. Questo li aiuta a liberarsi dallo stress e dagli altri problemi che hanno”, ha spiegato.
“Cerchiamo di dare loro le competenze per prevenire le ricadute, perché molti si trovano in situazioni molto precarie e questo si riflette in quello che stanno pensando. Per esempio, molti pensano di attraversare il mare [verso l’Europa] perché pensano: “Sono morto in ogni caso”. Questo modo di pensare riflette un grave turbamento. E se c’è qualcosa che possiamo fare per aiutarli, questo è molto, molto importante”.
Un’altra donna aiutata nell’ambito del programma è Shadia*, una rifugiata sudanese di 38 anni che soffre di epilessia e depressione grave. Ha avuto difficoltà matrimoniali ed è diventata molto chiusa in sè stessa, arrivando a tentare più volte il suicidio.
“Potete vedere la differenza in me dopo queste sedute”, ha detto. “Prima ero malata, stressata e tesa. Pensavo sempre di porre fine alla mia vita e ho avuto molte crisi epilettiche. Ora non ho più convulsioni e non prendo più medicine. Per quanto riguarda il mio stato mentale, mi sento molto bene con me stessa. Sono positiva per il futuro”.
Shadia è ora una donna energica e sicura di sé, di recente ha iniziato a lavorare e dà il merito alle sedute per la sua trasformazione e la sua ritrovata autonomia.
“Il mio carattere è cambiato, sono diventata forte e ho potuto essere coinvolta nella comunità”, ha detto.
Testimonianze così positive da parte di coloro che sono stati aiutati, ha detto Hamida, hanno anche incoraggiato altri a cercare il sostegno di specialisti della salute mentale.
“Potrei non sentire il loro dolore, ma lo capisco. Si sentono aiutati e assistiti e questo cambia davvero il loro modo di pensare; allevia il loro stress e questo, a sua volta, li aiuta a migliorare”, ha concluso.
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