Ibtihal (al centro), Abu Abbas (a destra) e Omar (a sinistra) fuori dalla loro casa danneggiata dai bombardamenti nel governatorato di Dar’a, nel sud della Siria. © UNHCR/Alex St-Denis
Nonostante il ritorno a una casa danneggiata e la mancanza di servizi, l’ex rifugiata Ibtihal conserva la speranza, ma è necessario un maggiore sostegno internazionale per rispondere alle esigenze umanitarie e garantire una ripresa in Siria.
Seduta nel soggiorno della loro casa danneggiata dai bombardamenti nella città di Sheikh Miskeenin, nel governatorato di Dar’a, nel sud della Siria, Ibtihal, 52 anni, ha raccontato l’ondata di emozioni che ha provato, quando lei e suo marito sono finalmente rientrati in Siria dopo dodici anni vissuti da rifugiati in Giordania.
“Quando sono arrivata e mi sono fermata al confine, ero felicissima e commossa, ho iniziato a piangere”, ha detto Ibtihal. “Ero così felice ed emozionata di tornare… Non vedevo il mio Paese e la mia famiglia da 12 anni”.
Dopo aver vissuto separata dai suoi cari per così tanto tempo, Ibtihal ha ripensato ad alcuni degli eventi epocali accaduti durante la sua lunga assenza. “Immaginate, mio padre è morto mentre ero lì [in Giordania], e mio nipote è stato ucciso dai bombardamenti”.
Il ritorno della coppia ha presto lasciato il posto a una serie di sfide pratiche, quando hanno scoperto le dure condizioni che ora devono affrontare. La loro casa è stata parzialmente distrutta dai bombardamenti durante il conflitto e quando sono tornati hanno trovato porte e finestre sfondate, il tetto danneggiato e niente elettricità né acqua corrente. Persino il pavimento che Abu Abbas, un piastrellista, aveva installato era stato rimosso dai saccheggiatori.
“Quando ho visto la mia casa, era in rovina”, ha detto Ibtihal. ‘La vita è davvero difficile: mancano i beni di prima necessità. Il sistema fognario è bloccato e non riesco a gestire nemmeno le cose più semplici. Non ho i soldi per riparare nulla. Mio marito vuole lavorare peer poter ricostruire la nostra casa”.
“Sono rimasta scioccata dallo stato dell’intero Paese”, ha continuato. “Il modo in cui la gente vive è straziante; c’è a malapena il minimo indispensabile per vivere. Se Dio vuole, un giorno sarà ricostruita. Ho grande fiducia in Dio che la Siria tornerà com’era prima; che sarà ricostruita”.
La coppia ha deciso di tornare non solo perché dopo la caduta del governo di Assad era finalmente possibile, ma anche perché la vita in Giordania era diventata più difficile, dato che suo marito, Abu Abbas, faticava a trovare lavoro. Sono tra gli oltre 270.000 rifugiati siriani che finora sono tornati nel paese dopo i drammatici eventi di inizio dicembre.
Da uno dei sondaggi condotti tra i rifugiati siriani nella regione, il 27% degli intervistati ha dichiarato all’UNHCR, l’Agenzia dell’ONU per i rifugiati, di voler tornare a casa entro i prossimi 12 mesi, un netto aumento rispetto all’1,7% degli intervistati che aveva dichiarato la stessa cosa prima della caduta del regime.
Ostacoli per il ritorno
Secondo gli intervistati, i fattori che impediscono ai rifugiati di tornare a casa sono la mancanza di alloggi o di accesso alle loro proprietà, la preoccupazione per la situazione della sicurezza, l’interruzione dei servizi di base e le sfide economiche, compresa la mancanza di posti di lavoro.
Queste preoccupazioni sono confermate dalle immense necessità che i rifugiati devono affrontare al momento del ritorno, in una crisi umanitaria più ampia che attanaglia la Siria dopo anni di conflitti e disordini economici. Con molte case danneggiate o distrutte e i servizi sanitari, idrici ed elettrici interrotti, milioni di persone nel Paese stanno attualmente lottando per sopravvivere alle temperature gelide dell’inverno.
Coloro che sono tornati dicono che il sostegno umanitario e l’assistenza finanziaria sono essenziali per aiutarli a ricostruire le loro vite mentre cercano di trovare una fonte di reddito stabile.
L’UNHCR e i suoi partner, principalmente ONG siriane, stanno fornendo ai rifugiati che stanno tornando e ad altre persone bisognose, kit domestici di base, riparazioni alle case danneggiate, assistenza finanziaria d’emergenza, supporto per la sostituzione dei documenti di identità smarriti e consulenza psicologica, oltre ad altri servizi.
Ma poiché le necessità superano di gran lunga le risorse disponibili, l’UNHCR sta sollecitando la comunità internazionale a intensificare il proprio sostegno. Il 13 febbraio, a Parigi si è tenuto un incontro tra governi e donatori per discutere dell’urgente necessità di un sostegno internazionale alla Siria nella transizione post-Assad.
“Quando le persone tornano a casa, spesso faticano a garantirsi un reddito e quindi diventano eccessivamente dipendenti dagli aiuti umanitari, e non vogliono questo. Vogliono pagare di tasca propria. Quindi non è solo una questione economica, ma anche una questione di dignità”, ha detto Gonzalo Vargas Llosa, Rappresentante dell’UNHCR in Siria.
“Senza il sostegno internazionale, in termini di maggiore aiuti umanitari e attività di recupero e ricostruzione, i rifugiati che rientrano non saranno in grado di ricostruirsi una vita in Siria e molti altri rifugiati nella regione non potranno tornare. Il rischio è che la speranza si trasformi in delusione e frustrazione, quindi dobbiamo fare molto di più, e in fretta”, ha aggiunto.
Sebbene Abu Abbas abbia trovato lavoro nell’edilizia e abbia anche iniziato a riparare la loro casa, la famiglia deve ancora superare diversi ostacoli. L’anno scorso in Giordania, Ibtihal ha ricevuto cure per il cancro, ma i servizi sanitari nella vicina città di Dar’a sono ostacolati dalla mancanza di attrezzature, personale e medicine.
“Bisogna andare a Damasco, ma il costo del viaggio è troppo alto e semplicemente non posso permettermelo”, spiega. ‘Se vuoi vedere un medico specialista lì, ti costa 150.000 lire siriane (11,5 dollari) solo per la visita. Non ho tutti quei soldi”.
Anche l’accesso all’istruzione è una grande sfida per i bambini rifugiati che fanno ritorno nel Paese. Molte scuole sono danneggiate, mal equipaggiate e con carenza di personale. I bambini stessi devono adattarsi a un nuovo programma di studi, oltre allo sconvolgimento di tornare in un Paese che molti non hanno mai visto prima.
Il figlio più piccolo di Ibtihal e Abu Abbas, Omar, che ha 14 anni, andava a scuola in Giordania, ma non si è ancora iscritto da quando è tornato in Siria. Sta aiutando il padre nel suo lavoro di piastrellista e ha intenzione di riprendere gli studi nel prossimo anno scolastico.
Speranza
“Le sfide qui sono molte. Siamo in una comunità con enormi bisogni… c’è molta distruzione”, ha spiegato Hiba Shannan, Assistant Protection Officer dell’UNHCR a Dar’a. “Le persone stanno tornando a vivere in [case] senza tetti, senza cucine, senza servizi adeguati, senza infrastrutture adeguate. Siamo qui per rispondere e fornire servizi. Stiamo cercando di stabilire con la comunità a cosa dare priorità”.
“Tuttavia, c’è [anche] vita”, ha aggiunto Shannan. “Vedo negli occhi di coloro che ritornano che stanno dicendo: siamo finalmente a casa, nel nostro Paese. Questo dà loro una speranza che non troverebbero mai altrove. Sono disposti ad andare in zone dove mancano i servizi perché sentono di appartenere a quel luogo”.
È il caso di Ibtihal e Abu Abbas che, nonostante tutte le difficoltà, sono felici di essere a casa e guardano positivamente al futuro.
“Abbiamo ancora speranza”, ha concluso Ibtihal. “Se Dio vuole vivremo di nuovo con amore e amicizia e la vita tornerà com’era prima”.
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