Un’iniziativa a supporto della salute mentale condotta da un gruppo di giovani rifugiati aiuta i loro coetanei ad affrontare la vita in esilio in Bangladesh.
La rifugiata Rohingya Myshara guida un gruppo di discussione che fa parte di un programma di salute mentale tra pari per giovani rifugiati gestito con l’aiuto dell’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, nel campo di Kutupalong – il più grande dei 34 campi del distretto di Cox’s Bazar in Bangladesh. La zona ospita più di 860.000 rifugiati Rohingya, quasi il 55% dei quali sono bambini. La maggior parte è fuggita dalle proprie case in Myanmar nel 2017 a causa di violenze, atrocità e persecuzioni.
I giovani del gruppo hanno un’età compresa tra i 10 e i 18 anni. Si riuniscono regolarmente per discutere dei loro sentimenti, seguendo un processo accuratamente studiato. L’elemento chiave di queste discussioni è che sono guidate da persone tra loro coetanee.
Myshara è una dei leader. È stata identificata dai volontari psicosociali della comunità Rohingya che hanno osservato i bambini nei centri di apprendimento per trovare i candidati giusti.
Myshara ammette di essere stata intimidita da tale responsabilità.
“All’inizio, quando insegnavo ai bambini, avevo paura. Ora ho superato le mie paure e la mia timidezza”.
Si intravede ben poca timidezza mentre guida il gruppo attraverso i messaggi chiave della discussione. Tra questi: i disturbi mentali non sono una scelta, il recupero lo è. E non c’è vergogna nel cercare aiuto.
Uno degli obiettivi del programma, che è gestito dall’UNHCR con tre organizzazioni partner: Relief International, Food for the Hungry e GK, è quello di rompere una tradizione di stoicismo culturale. Parlare di sentimenti, in particolare di sentimenti di infelicità e tristezza, non è una cosa che i Rohingya adulti o bambini fanno di solito.
Myshara è un esempio di come questo stia cambiando. Quando torna nella piccola casa di bambù su una collina, che condivide con i suoi genitori e tre sorelle, trasmette ciò che ha imparato dal programma.
“Tutto questo aiuta a liberarsi della nostra triste esperienza”.
“Aiutare gli altri a parlare di queste cose mi dà una grande gioia”, dice. “Tutto questo ci aiuta a liberarci della nostra triste esperienza”.
Il progetto è iniziato con un piccolo gruppo di bambini all’inizio del 2019 e, sulla base del loro feedback positivo, si è ampliato fino a raggiungere quasi 24.000 bambini alla fine dell’anno.
L’inizio della pandemia di COVID-19 all’inizio di quest’anno ha costretto ad interrompere o sospendere le sessioni di gruppo, proprio mentre i bambini nei campi dovevano far fronte ad ulteriore ansia e confusione.
“Eravamo tutti molto spaventati”, ricorda Mustafa, un ragazzo di 14 anni che frequentava regolarmente le sessioni. Quando non potevamo incontrarci, ci faceva male. Soffrivamo molto perché non riuscivamo ad esprimere le nostre emozioni, non potevamo nemmeno giocare con i nostri amici”.
Nonostante l’impossibilità di svolgere delle sessioni di gruppo, molti dei ragazzi hanno usato le competenze sviluppate nei primi mesi del programma per aiutare le loro comunità ad affrontare il peso della chiusura sulla salute mentale.
“Quando non potevamo muoverci, ho deciso di parlare con la mia famiglia e con le persone che vivono nelle vicinanze. Ho detto loro che, per quanto difficile fosse, la situazione era temporanea e non sarebbe durata per sempre. Li ho incoraggiati a parlare dei loro sentimenti, perché questo può aiutarli a guarire il loro dolore”, dice Muhammad, 18 anni, il leader carismatico di uno dei gruppi.
“Le lezioni che impariamo qui raggiungono molte persone”.
“Quando parliamo con le nostre famiglie, loro parlano con la comunità, così le lezioni che impariamo qui raggiungono molte persone. Penso che sia migliorato il modo in cui l’intera comunità affronta le emozioni”, aggiunge.
Da giugno le sessioni sono riprese, ma con gruppi più piccoli per permettere il distanziamento sociale. Poiché sempre più bambini si sono fatti avanti con la volontà di partecipare, sono stati avviati nuovi gruppi per soddisfare la domanda. Nonostante il lockdown ancora in corso, quasi 30.000 bambini partecipano alle sessioni.
Mahmudul Alam, funzionario per la salute mentale e il supporto psicosociale dell’UNHCR, spiega che il programma è stato progettato non solo per dare ai bambini la possibilità di imparare gli uni dagli altri, ma anche per costruire le loro capacità di leadership, la fiducia in se stessi e la capacità di affrontare le avversità.
“Molti di questi bambini hanno perso amici e persone care quando sono stati costretti a fuggire dal Myanmar nel 2017″, dice. “Questo programma li aiuta a riconnettersi e a costruire la loro capacità di resilienza. Costruire la loro fiducia in se stessi è stato fondamentale”.
Per la capogruppo Hamida, 11 anni, il programma l’ha aiutata ad affrontare le sue paure e ad ottenere il sostegno dei suoi coetanei. “Qui si parla di cosa sia la pace mentale. Ogni volta che ci sentiamo ansiosi, facciamo esercizi di respirazione”, dice.
“Ora sappiamo che l’ansia e la depressione possono essere superati, non c’è nulla di cui aver paura”.
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