Delle 284 persone arrivate a Messina, in Italia, a bordo di due navi della marina croata e italiana, William è l’ultimo a sbarcare. Al polso destro porta un braccialetto con il numero ‘284’. Non ha nessuna fretta, cammina lento con un sorriso stampato in faccia.
La ragione per cui questo dentista siriano di 28 anni è così felice è perché ha appena compiuto un piccolo miracolo. In condizioni estreme, lui e una donna siriana di nome Wafaa hanno aiutato una ragazza somala a dare alla luce il suo primo bambino.
A bordo del sovraffollato e traballante peschereccio, i passeggeri sono stati costretti a viaggiare per dodici giorni in piedi o seduti, perche’ non c’era posto per sdraiarsi. Quando hanno lasciato il porto di Alessandria, in Egitto, hanno scoperto che a bordo c’era anche una donna al nono mese di gravidanza. Così l’hanno portata nell’unica stanza disponibile sulla barca.
La ventenne incinta, descritta da Wafaa e William come una donna bellissima e gentile, ha spiegato che avrebbe dovuto partorire nel giro di una settimana. Durante le seconda notte a bordo, ha cominciato a sentire dei dolori alla schiena. “Ho cercato di capire se i dolori erano dovuti all’oscillare della barca o se erano invece legali al parto,” ci ha spiegato William.
Visto che era il suo primo figlio, la donna aveva paura e non capiva bene cosa le stesse succedendo. “Non ti preoccupare, ti aiuteremo, le ho detto”, spiega William, e aggiunge: “Le ho detto che ero un medico per tranquillizzarla. Ma io sono un dentista e non ho mai aiutato nessuno a partorire! Nel nostro Paese a volte sono le donne che aiutano altre donne.”
Allora William ha chiesto aiuto ad una signora siriana di nome Wafaa. Wafaa, che in arabo significa ‘fedeltà’ o ‘lealtà’, è una donna di cinquant’anni, madre di tre figli.
“Ho chiesto alla signora siriana se aveva esperienza nell’assistere al parto, per esempio a casa”, spiega William. Wafaa aveva già aiutato a far nascere ben dieci bambini. Ora però era diverso.
“Avevo paura sulla barca, perché è molto pericoloso,” ricorda Wafaa, “Ma non avevo paura per il bambino, sapevo che sarebbe tutto andato a finir
bene”.
“Non avere paura, non piangere, stai andando benissimo, sei una madre bravissima,” diceva Wafaa alla giovane donna che presto sarebbe diventata madre. “Aiutami, aiutami ad aiutare tuo figlio, non è difficile. Se non spingi, il bambino morirà”.
La ragazza somala non parlava bene l’arabo, ma l’incoraggiamento materno di Wafaa e le sue dolci parole sono bastate per calmarla e metterla a suo agio.
“Abbiamo preso dell’olio da cucina per farle dei massaggi e poi le abbiamo detto: spingi, spingi!,” racconta William. “Ti sto vicino, non morirai!”
Il parto è iniziato alle 21.00 ed è durato sei ore. Alle 3 di mattina è nato il bambino. Lo hanno chiamato ‘Hussam’, che in arabo significa ‘spada affilata’.
“Ero così felice di tenere il bimbo tra le mie mani,” ricorda Wafaa.
“L’abbiamo lavato prima con l’acqua di mare, perché potesse disinfettarlo, poi con l’acqua dolce,” spiega William. “Gli ho fatto il bagno per ben tre volte,” continua orgoglioso.
Dopo il parto, Wafaa ha messo insieme i panni e i vestiti sporchi di sangue, ne ha fatto un fagotto e l’ha gettato in mare. Ha gridato al giovane Hussam: “Ti auguro di non dover mai più confrontarti con il mare”.
Appena nato, il piccolo Hussam pesava solo due chili, ma dal secondo giorno, la madre è riuscita ad allattarlo e Hussam ha acquistato rapidamente peso. I giorni successivi, il bambino è rimasto calmo, ha dormito e mangiato per gran parte del viaggio.
Quando sono arrivati a Messina, la madre e il bambino insieme al padre, sono stati portati in ospedale per una visita medica che ha confermato che erano in buona salute.
I tre si sono ritrovati al centro di accoglienza di Messina. “Riesci al allattare bene?,” chiede William, “Come ti senti? Ricordati di lavarlo bene,” consiglia Wafaa. Sono tutti intorno al piccolo Hussam, e le uniche parole che riescono a dirgli sono ‘Habibi’.
“Che nazionalità avrà se è nato su una barca?,” chiede un ragazzo al centro. “Mediterraneo,” risponde un altro.
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