Gli aiuti alimentari congiunti dell’UNHCR e del PAM impediscono ai rifugiati vulnerabili di soffrire la fame per l’impennata dei prezzi dei generi alimentari e la mancanza di lavoro dovuta alle misure messe in atto per il COVID-19 in Libia.
Seduti all’ombra di un albero in un piccolo cortile vicino alla loro casa a sud di Tripoli, Abdulmajeed e sua moglie Halima, rifugiati del Darfur, si occupano della figlia appena nata.
La piccola Afnan è nata ad aprile, quando le restrizioni per il COVID-19 erano molto severe. I rigidi coprifuoco hanno impedito loro di uscire di casa per andare in ospedale e, in ogni caso, non avrebbero potuto permettersi la tariffa del taxi. “Non avevamo nemmeno un dinaro”, ha detto Halima.
Halima ha dovuto partorire in casa – un container prefabbricato di due stanze – con l’aiuto del marito e della figlia tredicenne. “La vita in Libia è molto difficile per i rifugiati”, ha detto Halima, che è arrivata nel Paese con la figlia maggiore e il marito nel 2017 e tenuta in diversi campi dei trafficanti prima di poter ricominciare la propria vita.
Dopo lo scoppio del COVID-19, la vita è diventata più dura per la famiglia. Abdulmajeed non è riuscito a trovare lavoro durante l’isolamento. Lavora a giornata, per lo più scaricando frutta e verdura in un vicino mercato all’ingrosso, ma, aggiunge, è disposto a fare qualsiasi lavoro. Prima della pandemia, poteva guadagnare tra i 40 e i 50 dinari libici al giorno (circa 10 dollari), abbastanza per tirare avanti.
“Il coronavirus ha cambiato tutto. Non c’è più lavoro”, ha detto il 34enne Abdulmajeed. “Non riusciamo a pagare l’affitto. A volte non possiamo permetterci nemmeno di comprare il cibo. Non riesco a dormire la notte. Penso sempre: Quando finirà questa coronavirus, così potrò uscire a lavorare?”.
Amici e vicini di casa hanno dato una mano, ma la preoccupazione più grande della famiglia è l’affitto. Ora sono in arretrato di tre mesi e hanno il terrore di essere sfrattati. Hanno preso in prestito del denaro e hanno venduto i gioielli di Halima e una bombola di gas per cucinare, ma non è stato abbastanza.
Recentemente, la famiglia è stata tra le prime ad essere assistita attraverso un progetto congiunto dell’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e del Programma alimentare mondiale (PAM) per fornire aiuti alimentari d’emergenza a 10.000 rifugiati fino alla fine di quest’anno.
Il programma è stato creato in risposta alla terribile situazione che i rifugiati e i richiedenti asilo in Libia stanno affrontando a causa della pandemia da COVID-19. La maggior parte dei rifugiati in Libia vive in aree urbane, contando sul lavoro a giornata per mantenersi. Ma la maggior parte di questi lavori è venuta meno negli ultimi mesi a causa delle strette restrizioni agli spostamenti.
Inoltre, il prezzo dei prodotti alimentari e di altri beni di prima necessità è aumentato drasticamente a causa della chiusura delle frontiere, delle restrizioni alle importazioni e dell’interruzione della circolazione dei generi alimentari a causa del conflitto.
Il costo di un paniere minimo di spesa alimentare che soddisfi le esigenze di base di una famiglia è aumentato in media del 26,6 per cento dall’imposizione delle restrizioni per il COVID-19 a marzo. Molti rifugiati dicono di potersi permettere solo un pasto di base al giorno, mentre frutta, verdura e carne sono considerati un lusso.
“Se abbiamo fame, ora possiamo mangiare”.
“A casa non avevamo niente… Non avevo cibo”, ha detto Halima, mentre inizia a preparare il pranzo per la famiglia usando tonno e fagioli in scatola che sono parte dell’aiuto alimentare fornito dall’UNHCR e dal PAM, progettato per durare un mese. “Grazie a Dio”, ha aggiunto, indicando la scatola di cibo. “Se abbiamo fame, ora possiamo mangiare”.
Prima di ricevere l’assistenza, Halima ha detto che spesso si sentiva stanca e spossata. La sua principale preoccupazione ora è come riusciranno a gestire l’affitto non pagato. “Il problema dell’affitto è serio. Non abbiamo i soldi per affittare un altro posto se saremo costretti ad andarcene da qui; è un problema. Se il coprifuoco viene rimosso e mio marito può tornare a lavorare, allora non ci sarà nessun problema… possiamo vivere come prima”.
Ogni giorno, Abdulmajeed indossa una maglietta e un cappellino da baseball e va in cerca di lavoro. L’ultimo lavoro retribuito che è riuscito a trovare è stato più di una settimana fa. La cattiva notizia è che i casi di COVID-19 in Libia sono ancora in aumento, con le autorità che di recente hanno registrato il più alto aumento giornaliero, rendendo improbabile che il coprifuoco venga abolito a breve.
La speranza a lungo termine di Halima, come quella di molti altri rifugiati in Libia, è per un futuro migliore al di fuori del Paese. Uno, dice, in cui le sue figlie possano vivere in pace e sicurezza e ricevere un’istruzione. “Spero che abbiano una vita felice. Che vivano in una situazione migliore di questa”, ha detto.
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