Un ricongiungimento agrodolce per una madre etiope e sua figlia dopo mesi di separazione.
Quando sono scoppiati gli scontri nel novembre 2020, è stata separata dal marito, dal figlio e dalla figlia ed è fuggita oltre il confine in Sudan con i suoi due figli più piccoli, Ermyas, 9 anni, e Mahelet, 7 anni.
“Avevo paura che ci sarebbe successo qualcosa di brutto se fossimo rimasti”, dice. “Non avevamo altra scelta che fuggire”.
Dopo aver attraversato il confine, hanno trovato riparo in un centro di accoglienza dove l’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, ha fornito loro assistenza, compresi cibo e alloggio.
In seguito ha partorito un bambino sano, ma si sentiva ancora in lutto.
“Non ero in pace, perché non sapevo dove fosse il resto della mia famiglia”, dice.
Quasi 60.000 rifugiati etiopi sono fuggiti nel Sudan orientale da quando il conflitto è iniziato nella regione del Tigray in Etiopia nel novembre 2020.
Gli scontri hanno disperso la famiglia di Letha in diverse parti del Tigray. Sua figlia Eymaret di 11 anni era andata a stare con sua zia in un’altra città dopo che il conflitto aveva costretto le scuole a chiudere, mentre suo figlio era con suo padre a Shire, una città nella regione etiope del Tigray.
Anche se le linee di comunicazione erano spesso interrotte nel Tigray, Letha era determinata a continuare a cercare di contattare i suoi cari. I partner dell’UNHCR, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) e la Mezzaluna Rossa Sudanese (SRCS), hanno istituito il servizio “Restoring Family Links” nei centri di accoglienza vicino al confine per aiutare i rifugiati come Letha a localizzare i propri cari con cui avevano perso i contatti, facendo telefonate gratuite o scrivendo lettere. Nei casi in cui il contatto non può essere ripristinato, l’ICRC e la SRCS registrano le richieste di rintracciamento e conducono ricerche attive sia all’interno dei campi che oltre il confine, in cooperazione con l’ICRC in Etiopia.
“Il silenzio era difficile da gestire”, dice Letha. “Avevo paura che fosse successo qualcosa di terribile, ma non potevo arrendermi”.
Alla fine ha preso contatto con Eymaret, che era andata con sua zia a Humera, vicino al confine con il Sudan. Eymaret ha poi attraversato il fiume Tekeze da sola, e poi si è fatta strada a piedi fino al centro di transito di Hamdayet, dove è stata accolta da suo zio.
“Non ho avuto tempo per pensare. Ho solo attraversato il fiume e pregato di farcela”, ricorda.
Con l’aiuto dell’UNHCR, dell’UNICEF e del Consiglio di Stato sudanese per il benessere dei bambini (SCCW), Eymaret si è finalmente riunita con sua madre, ponendo fine ad un’angosciosa separazione durata sette mesi.
“Ero così felice di vederla”, dice Letha. “È il peggior incubo di ogni madre perdere un figlio e avevo paura che questo sarebbe stato il mio destino”.
Oltre al lavoro dei partner sulla riunificazione delle famiglie separate, l’UNHCR fornisce assistenza ai bambini non accompagnati e separati come Eymaret, incluse l’istruzione e l’organizzazione di famiglie adottive.
“Siamo lieti che questa storia abbia un lieto fine e che siamo stati in grado di garantire la protezione e il benessere di Eymaret”, dice Sameh Fahmy, responsabile della protezione dell’UNHCR a Gedaref, che ha lavorato a stretto contatto con i partner per riunire Letha e Eymaret.
Ma per Letha il ricongiungimento è dolce amaro perché pensa costantemente a suo marito e a suo figlio, per i quali la ricerca è in corso, che non hanno ancora mai incontrato il nuovo membro della famiglia.
È preoccupata per la loro sicurezza e per il fatto che “è pericoloso e sempre più difficile per le persone, specialmente gli uomini, viaggiare a causa degli scontri”.
“Avevamo una buona vita a casa e vivevamo in pace. Il mio sogno è che tutta la nostra famiglia sia di nuovo insieme”, dice.
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