L’UNHCR esprime preoccupazione per la situazione di quanti sono stati costretti a fuggire da brutali atti di violenza nella provincia di Ituri, nella Repubblica Democratica del Congo, dove l’accesso per gli aiuti umanitari rimane estremamente limitato.
Resina Love, 52 anni, è tormentata dagli incubi da quando è fuggita dagli orrori delle violenze che hanno colpito il suo villaggio nella provincia di Ituri, Repubblica Democratica del Congo (RDC). È fuggita lo scorso giugno insieme ai suoi nipoti, lasciandosi tutto alle spalle.
“Mia figlia, mio genero e due dei miei nipoti sono stati uccisi davanti ai miei occhi,” racconta.
Insieme ai nipoti ha attraversato la foresta per cinque giorni prima di trovare un posto sicuro nella città di Kasenyi, a 35 chilometri dal suo villaggio. “Eravamo esausti, ma non potevamo fermarci perché continuavamo a sentire rumore di spari,” aggiunge.
Come molti altri, Resina e i suoi nipoti dormono all’aperto, vicino a una chiesa a Kasenyi.
Resina è tra i 360.000 congolesi che lo scorso giugno sono stati costretti ad abbandonare le loro case dalle brutali violenze perpetrate nella provincia di Ituri. Molti di loro hanno dovuto camminare per giorni nella foresta prima di mettersi al sicuro a Kasenyi, nei pressi del Lago Albert, al confine con l’Uganda.
Le ultime violenze sono state precedute da mesi di tensioni tra comunità, che dall’inizio dell’anno hanno provocato centinaia di migliaia di sfollati.
Dheka Ndjengu, 48 anni, è fuggito con i suoi otto figli. Nel corso dei più recenti scontri ha perso un figlio di 25 anni, e non ha potuto dargli una degna sepoltura.
“Siamo scappati con una vecchia canoa. Ho remato per più di quattro ore,” racconta.
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Hanno fatto una sosta nella città di Tchioma prima di dirigersi verso Kasenyi, nella speranza di poter essere al sicuro.
“Non so che cosa fare,” dice Dheka. “Dormiamo in una chiesa con altre 400 persone. Non abbiamo un minimo di privacy.”
Sifa Dorika, 18 anni, è incinta e tormentata dalla preoccupazione per il futuro del suo bambino, e non sa dove sia suo marito. Anche lei è fuggita dalle violenze a giugno e si è rifugiata nella chiesa, che funge da riparo comune.
“Mio marito è scomparso quando siamo fuggiti dal nostro villaggio,” racconta. “Non ho idea di dove possa essere, e ho paura che sia stato ucciso.”
L’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, ha espresso grande preoccupazione in merito alle recenti violenze e agli esodi che hanno provocato. Oltre 110.000 sfollati interni hanno raggiunto i campi nei territori di Djugu, Mahagi e Irumu tra maggio e giugno. Decine di migliaia di persone vivono inoltre insieme alle comunità locali in aree affette da un’epidemia di Ebola.
Nel mese di giugno, nell’arco di sole tre settimane un insediamento spontaneo sorto lo scorso anno per ospitare circa 1.900 persone ha accolto oltre 4.000 nuovi arrivati. Molte delle persone sfollate sono costrette a dormire all’aperto o in edifici pubblici, esposti alle intemperie e a rischio di abusi. L’esodo di sfollati esercita inoltre notevole pressione sulle strutture sanitarie, ponendo seri rischi per la salute.
“L’accesso per gli aiuti umanitari resta un grave problema,” afferma Marie-Helene Verney, Capo della sezione distaccata dell’UNHCR a Goma, nella Provincia del Kivu Nord. “Le strade principali stanno riaprendo lentamente ma per motivi di sicurezza i villaggi più all’interno sono ancora difficili da raggiungere.”
Marie-Helene Verney ha inoltre affermato che la recrudescenza delle violenze ostacola gli sforzi a favore di una pace duratura.
“Più di 18 mesi sono trascorsi dall’inizio della crisi, e le nuove violenze sollevano gravi interrogativi riguardo le soluzioni a lungo termine per gli abitanti di Djugu,” ha aggiunto.
L’UNHCR ha potenziato la propria risposta agli esodi sempre più massicci che interessano la RDC. A Bunia, la capitale della Provincia di Ituri, sono arrivati camion con 90 tonnellate di aiuti, tra cui teloni in plastica, assorbenti igienici, coperte, sapone, materassi e taniche, e in alcuni campi sono già iniziate le distribuzioni.
Insieme alle agenzie partner, l’UNHCR sta costruendo ripari di emergenza per 600 famiglie a Kasenyi e per altre 3.200 famiglie a Drodro.
A causa dell’eccessiva pressione demografica nei due siti che ospitano sfollati interni a Bunia, sono in corso preparativi per l’apertura di un nuovo insediamento che ospiterà circa 10.000 persone nella periferia della città, per ridurre la pressione sulle strutture esistenti.
La mancanza di fondi si ripercuote gravemente sulla capacità delle persone sfollate di soddisfare i propri bisogni primari. Alla fine di luglio, l’UNHCR ha ricevuto solamente il 28% dei 150 milioni di dollari americani necessari a realizzare le attività dell’Agenzia nella RDC.
“Abbiamo urgente bisogno di sostegno finanziario per rispondere ai bisogni primari delle persone sfollate,” ha dichiarato Marie-Helene Verney.
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