Parisa aveva già 11 anni quando è riuscita a vedere per la prima volta l’interno di un’aula. Ora non ha nessuna intenzione di smettere di imparare anche durante la chiusura delle scuole.
Qualche mese fa, le mattine alla scuola elementare di Vahdat, quando arrivavano i bambini, erano caratterizzate da entusiasmo ed energia.
Gli zaini che rimbalzavano sulla schiena mentre i bambini correvano attraverso i cancelli della scuola elementare. Un gruppo di ragazze fermo davanti all’edificio principale, in attesa dell’assemblea. In fondo ad una fila di bambini delle elementari c’era Parisa, 16 anni, la più grande della sua classe: i suoi compagni avevano in media solo 12 anni.
Parisa non si è fatta intimorire dalla differenza di età ed era determinata a sfruttare al meglio il suo tempo alla scuola elementare di Vahdat, nella vecchia città persiana di Isfahan in Iran.
“Amo la scuola”, dice, stringendo i suoi libri al petto. “La mia materia preferita è la matematica… Amo le moltiplicazioni e le divisioni, sono davvero facili”.
L’interruzione della scuola a causa della pandemia di COVID-19 è stato un duro colpo per lei, visto quello che Parisa ha dovuto sopportare prima di poter avere per la prima voltra un’istruzione.
Dieci anni fa, la sua famiglia è fuggita dall’Afghanistan dopo che i talebani avevano terrorizzato il quartiere in cui vivevano, Herat. “Se andavi al mercato, non c’era garanzia che saresti tornato”, ricorda Besmellah, 67 anni, padre di Parisa.
Gli estremisti minacciavano anche di rapire le ragazze che osavano andare a scuola. “Poi hanno iniziato a piantare mine nei cortili delle scuole”, ha aggiunto Besmellah. “Non abbiamo avuto altra scelta che fuggire in Iran”.
Nel corso di 40 anni di invasioni, guerre civili, lotte di potere e lotte religiose, circa tre milioni di afghani hanno cercato rifugio in Iran. Quasi un milione sono registrati come rifugiati, mentre circa due milioni sono privi di documenti. Altri 450.000 titolari di passaporto afghano vivono in Iran per lavorare o per completare gli studi.
In Iran, Parisa e i suoi sei fratelli e sorelle avevano trovato sicurezza, ma durante i primi anni di esilio lei non ha potuto andare a scuola. La famiglia aveva a malapena i soldi sufficienti per vivere, non certo quelli per coprire le spese scolastiche. Il fratello di Parisa ha lasciato la scuola a 15 anni per iniziare a lavorare. Con quei soldi in più, Parisa ha potuto entrare in una classe per la prima volta all’età di 11 anni.
Inizialmente frequentava una scuola non ufficiale, non registrata presso il governo, dove le lezioni erano organizzate su due turni per ospitare il maggior numero possibile di bambini. Senza insegnanti qualificati e senza un programma di studi adeguato, gli studenti potevano imparare solo le basi.
In quanto rifugiata senza documenti, all’epoca quella era l’unica opzione per Parisa. Ma dal 2015 l’Iran ha permesso a tutti i bambini afghani, indipendentemente dallo status giuridico, di frequentare le scuole pubbliche. Quando la scuola elementare di Vahdat ha aperto, supportata dai finanziamenti del governo iraniano, dell’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati e dell’Unione Europea, Parisa ha avuto per la prima volta la possibilità di avere un’istruzione.
Oggi, circa 480.000 bambini afghani in Iran beneficiano di questa politica educativa inclusiva. Tra questi 130.000 sono senza documenti, come Parisa. Alle elementari di Vahdat, 140 giovani afghani studiano insieme a 160 studenti iraniani.
Ma la pandemia minaccia di ostacolare ancora una volta l’istruzione di Parisa. Mentre l’Iran continua a risentire degli effetti del virus sulla salute e sull’economia, sia i rifugiati che le comunità ospitanti hanno difficoltà a sostentarsi. Molti di coloro che dipendono in gran parte dal lavoro informale hanno perso il lavoro.
“Non ho potuto lavorare negli ultimi tre mesi”, ha detto Besmellah, che è un lavoratore a chiamata. “Parisa dovrebbe iniziare la seconda media quest’anno, ma non posso permettermelo”.
In un rapporto, intitolato “Coming Together for Refugee Education“, pubblicato il 3 settembre, l’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, mette in guardia dalla doppia piaga del COVID-19 e degli attacchi alle scuole, che minacciano di vanificare di decenni i traguardi raggiunti nell’istruzione dei rifugiati.
Sulla base dei dati dell’UNHCR, il Fondo Malala ha stimato che, a causa del coronavirus, metà di tutte le ragazze rifugiate della scuola secondaria non tornerà in classe quando riapriranno le scuole questo mese, una previsione agghiacciante che avrà un forte impatto sulle generazioni a venire.
Mentre i rifugiati sono esenti dalle tasse scolastiche in Iran, gli altri costi associati all’istruzione, compreso il materiale didattico, sono ancora un peso. “Il mio padrone di casa ha anche aumentato l’affitto, così ho dovuto prendere in prestito dei soldi per pagare la caparra per un nuovo posto”.
Parisa non ha perso l’entusiasmo per la sua istruzione. “Io e mia sorella abbiamo seguito le lezioni alla televisione, ma abbiamo dovuto prendere in prestito lo smartphone di mia sorella maggiore per fare gli esami”, ha detto. “A volte le nostre classi si sovrapponevano, così una di noi doveva saltare una lezione. È stato difficile, ma ho incoraggiato mia sorella ad andare avanti. Per fortuna, entrambe abbiamo ottenuto buoni voti”.
“Finché potrò lavorare, farò di tutto perché le mie figlie possano andare a scuola, ma sta diventando sempre più difficile”, ha detto Besmellah. “Mia moglie ed io ci sentiamo limitati a causa della nostra mancanza di istruzione. Non vogliamo che succeda lo stesso ai nostri figli”.
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