Di Bathoul Ahmed
Sono fortunata ad avere un lavoro che mi permette di parlare. Mi permette di scrivere e condividerlo con voi. Mi permette di parlare per coloro che altrimenti non verrebbero ascoltati.
Oggi, vorrei parlare per Nawfal.
Nawfal è solo un bambino. Due mesi fa è fuggito da Raqqa, Siria, con gran parte della sua famiglia – lasciando suo padre indietro. Ora vive in un insediamento informale nella Bekaa Valley, in Libano. Come molte altre migliaia di bambini qui, Nawfal non frequenta la scuola.
Mi strattona per la manica una sera, mentre attraverso uno dei 1.417 insediamenti del paese al tramonto. A voi potrà sembrare banale, ma la sua domanda mi blocca.
“Che libro stai leggendo?” chiede.
Porto questo stesso taccuino ovunque vada ma non mi è mai stata posta alcuna domanda al riguardo.
“Questo è un taccuino” gli rispondo, sorridendo. “Ci scrivo delle cose. Vuoi vedere?”
Si allunga per toccare le parole sulla pagina, quasi accarezzandole. “Non so scrivere in inglese, ma in arabo si” dice con calma, come se stesse esaminando la mia scrittura ordinata.
“Puoi scrivermi qualcosa, così mi ricorderò di te ogni volta che leggerò?” gli chiedo.
I suo viso si illumina. Sono curiosa di vedere cosa mi scriverà – di scoprire quali pensieri attraversano la sua giovane mente. Ma poi esita. Forse non è sicuro di cosa dovrebbe scrivere, o forse non scrive da così tanto tempo che è nervoso.
Gli do il taccuino chiedendogli di scrivere qualsiasi cosa vuole. Qualsiasi cosa gli passi per la mente.
La sua piccola mano fluttua sopra la pagina, sul viso un’espressione determinata. Poi si ferma, guarda in su verso di me e sorride, come in cerca di una rassicurazione, prima di continuare a scrivere.
Gli chiedo cosa gli manca di più di casa. “Mi manca la scuola”, risponde “Non ho mai mancato un giorno di scuola in Siria. Più di tutto, mi mancano i libri. Mi manca leggere”.
Nawfal è un bambino gentile. In mezzo a una folla di bambini chiassosi, lui si tira indietro e osserva silenziosamente. Non parla molto, ma vi garantisco: se lo aveste visto quel giorno e aveste avuto il coraggio di guardarlo negli occhi, avreste pianto proprio come ho fatto io quando sono tornata a casa. Vorrei che aveste potuto vedere i suoi occhi e percepito il suo senso di sconfitta. Quando ho guardato Nawfal ho provato vergogna. Imbarazzo. Come essere umani, non dovremmo mai avere l’occasione di vedere uno di noi così perso.
Nawfal sarà anche sopravvissuto, ma non sta vivendo. Esiste e basta.
Come gli altri bambini nell’insediamento, vaga in giro gran parte del tempo. I bambini giocano all’aperto tra la spazzatura, le fogne e il fango. Non hanno giocattoli né aree giochi. Non hanno nulla da fare.
Questi insediamenti informali sparsi non hanno nulla di dignitoso. L’UNHCR e le altre agenzie lavorano al loro meglio per migliorare le condizioni di vita – fornendo acqua pulita, latrine e altri tipi di assistenza base, come i kit per l’impermeabilità per contribuire a rafforzare le tende, soprattutto durante l’inverno. Tuttavia, dal momento che questi insediamenti non sono propriamente previsti o gestiti, offrono delle condizioni di vita inadeguate. L’odore di fogna aleggia nell’aria. E’ quasi soffocante. Le mosche sciamano su cumuli di spazzatura e il terreno è fangoso dopo le forti piogge.
Nonostante le dure circostanze, Nawfal e la sua famiglia sono al sicuro in Libano. Sono circa 3.3 milioni i siriani registrati dall’UNHCR nella regione. Quello che mi spaventa è come ci stiamo abituando a questi numeri in aumento. Non possiamo permettere che la nostra coscienza collettiva semplicemente si riposi perché queste persone fuggono dalla Siria sane e salve. Queste persone sono bloccate in un limbo. In esilio hanno poche possibilità. Centinaia di migliaia di bambini non vanno a scuola. Innumerevoli famiglie hanno esaurito i loro risparmi e genitori lottano per guadagnarsi da vivere.
Nawfal e la sua famiglia lottano ogni giorno. Nawfal non potrebbe essere uno di noi? Tuo figlio o magari il tuo fratellino? Niente di quello che sta succedendo è colpa sua. Vuole andare a scuola e leggere libri. Non vuole essere qui. Come tutti, Nawfal ha dei sogni.
Non sarò mai in grado di catturare l’innocenza di questo bambino, la purezza del suo sorriso e la gioia sul suo viso mentre tiene in mano la mia penna e scrive. Solo in Libano, oltre 200.000 bambini sono fuori da scuola. Quasi quattro anni dall’inizio della crisi in Siria e senza una fine in vista ho paura che questo dolce bambino non tornerà mai a casa. Ho paura che scorderà come si fa a scrivere.
Oggi, porto con me le parole di Nawfal come un promemoria del perché facciamo questo lavoro, e come promemoria di quanto ancora il mondo deve fare.
“Mi chiamo Nawfal. Vorrei essere a scuola. Mi chiamo Nawfal. Vorrei essere a scuola. Vorrei tornare in Siria. Vorrei vedere la mia famiglia in Siria. Papà, non ti dimenticherò“.
Le sue parole resteranno con me per sempre. Il ricordo doloroso di un bambino a cui è stata rubata la sua infanzia.
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